31 dicembre 2017

Di grigio e d’azzurro


L’aria fredda
il cielo grigio 
un’umidità perforante e penetrante che tutto bagna come se avesse piovuto...
ecco, l’ultimo giorno dell’anno si è presentato così, triste ed uggioso... quasi dispiaciuto di salutare, di passare la mano... sembra di vederlo, lì, seduto e disperato col mento in mezzo alle mani. Ormai vecchio e stanco, senza più forza ne’ energia, conscio di ciò che lo aspetta...
ma non mi sento di condividere il suo dispiacere... al contrario, sono ansioso di veder sparire dai miei occhi il suo ultimo bagliore, di gioire nel sentirne il respiro sempre più convulso ed affannoso fino al compimento del suo ineluttabile destino...
Sparirà dagli occhi ma resterà indelebile nel cuore e nella mente, indimenticabile col suo carico di dolore... Poi, mi volto e nella bruma mi pare di scorgere un bimbo tutto solo, imberbe e inconsapevole... è lì che aspetta come nell’icona michelangiolesca della Sistina, la trasmissione dell’energia che gli darà forza, sostanza e consapevolezza... tra un po’ avverrà , come sempre, e il bambino diverrà un giovane forte e robusto; gli si leggerà nello sguardo l’invito a fidarsi di lui, a non cedere alle disillusioni dell’autunno che c’è appena stato ed a dargli fiduciosi la mano per poterci guidare verso una nuova primavera.

Io voglio credergli

Ho deciso di credergli
Devo potermi fidare di lui per trovare il senso dei miei giorni... insieme a voi.

Benvenuto ragazzo!

24 dicembre 2017

La bisognevolezza

Stasera è Natale.
Anche se più triste, più malinconico, più manchevole... è comunque Natale.
Stamane il sole è sembrato volersi riprendere la scena celeste ed ha baciato questa Vigilia, intiepidendola, tal da consentire ed incoraggiare i contatti e i rapporti umani per la verità già numerosi ed avvolgenti in questo giorno.
Ma perché in questo giorno?
Perché solo in questo giorno e in pochi altri?
È un mistero...
È un mistero che in occasione di questa Natività, vera o presunta che sia, l’essere umano, come sotto l’effetto di una ipnosi regressiva, ritorni al suo stato primordiale, cioè quello di essere BISOGNEVOLE.
Bisognevole e non bisognoso .

Non è la stessa cosa...
Nell’accezione corrente un uomo è bisognoso quando non è abbiente, quando è povero in canna, per cui la condizione di bisogno non è di tutti, i ricchi, i potenti non ce l’hanno...
La bisognevolezza invece è di tutti, è nata con il genere umano.
L’uomo è nato, infatti, per condividere con i suoi simili; il suo destino è legato a quello degli altri, ogni uomo è tale solo se la sua umanità incontra quella degli altri...

Si è esseri umani propriamente detti quando si riconosce di aver bisogno del prossimo, quando interagendo con gli altri si riconosce e soddisfa il bisogno che questi hanno di noi, del nostro amore, della nostra vicinanza, che è del tutto identico al bisogno che abbiamo noi di loro....
È quando ciò accade, è quando si riconosce di essere bisognevoli reciprocamente che si è buoni, che non si metterà mai in atto alcuna nefandezza verso gli altri....

Purtroppo molti hanno dimenticato di essere esseri bisognevoli e si sono convinti di bastarsi, si sono persuasi che ogni uomo è un’isola, slegata e prescindente dagli altri...
Si sono generati così mostri di disumano egoismo, di cinica indifferenza, cui i propri simili non rappresentano che intralcio ai loro assurdi ed insensati fini, il potere, la vanagloria, il denaro...e quindi la cattiveria!
Ecco, il Natale, per chi ci crede e per chi no, riesce a restituire quella bontà, quella bonarietà, quell'altruismo, quell'amore per il prossimo che altro non è che il ritorno al riconoscimento della nostra vocazione di esseri bisognevoli.
Sarebbe bellissimo se fosse sempre così…
Sarebbe un sogno... anzi... un bi-sogno !!!

13 dicembre 2017

Più su

Sono in aereo con Gennaro.
Ci siamo detti che è la prima volta che facciamo un viaggio da soli, io e lui. Non è un bel viaggio, non ci leggiamo l’un l’altro l’allegria negli occhi come ci era capitato altre volte, in altri viaggi. 
Stiamo andando a Milano,ci andiamo per Gerardo, per confrontare le nostre convinzioni con quelle dei luminari ambrosiani, nella speranza che coincidano e che ci diano certezze e non dubbi.
Milano.Una città che ho imparato ad amare, che sento quasi familiare tante son le volte che ci sono venuto, talvolta con gli amici a vedere l’Inter, spesso... più spesso in posti non proprio sereni. Me ne dispiaccio perché Milano meriterebbe ricordi belli.
Ora siamo al di sopra delle nuvole, lontano dalle lordure, dalle incompiutezza meschine di laggiù.
Sento il senso di elevazione Baudelairiano che mi penetra, mi pervade e mi avvolge... la vicinanza con CHI è mancato e ...manca che sento quassù mi dà una sensazione di pace e quiete che non sentivo da tempo. È solo suggestione... lo so, ma non ne importa... mi sento bene... non ho neanche la solita paura di cadere.
GENNARO di fianco a me gioca al suo solito gioco col telefonino... guarda avanti, poi fuori, vorrebbe alzarsi... è insofferente, come sempre e guardarlo o sentirlo di fianco mi distoglie dal mio vagare, mi riporta alla realtà, quella fatta di infiniti e inutili perché, di ricerche talvolta insensate e spasmodiche di senso... di risposte sempre assenti alle mille domande.
Mi chiedo fino a quando mi basterà, fino a quando mi accontenterò di domande senza risposta.
Penso e scrivo di getto;guardo le nuvole che stiamo perforando e che mi ridanno le montagne e le città piccole piccole e poi sempre più grandi e vicine... scendiamo... anche la mia mente si ritira dal suo viaggiare, si riabitua ai suoi pensieri comuni… in un modo o nell'altro, torna alla vita.

21 novembre 2017

Il dolore

Ti prende alle spalle, d’improvviso, ti afferra alla gola e stringe... stringe, ti fa mancare l’aria.
Lotti, ti giri per guardarlo in faccia, ma ecco che ti stordisce con fendenti precisi al volto, agli occhi, al naso, ti fa cadere... cerchi di rialzarti come un pugile suonato, ma non ce la fai, cadi ancora e non vedi nulla intorno... i colpi sul viso, sugli occhi, ti hanno appannato la vista, cerchi le corde del ring... ne trovi svariate a sostenerti e sembra che lo facciano... ti rialzi ... sembri poter stare ancora in piedi... ma appena le lasci cadi ancora rovinosamente.
Passa del tempo e i segni sono ancora evidenti, mi guardo allo specchio e li vedo tutti in volto... ma lui,l’aggressore non si manifesta, non lo riconosco... mi giro di scatto per vedere dov'è... non sento più colpi sul viso, ma so che non è lontano, anzi mi è molto vicino, mi accompagna, lo sento nello stomaco, nelle viscere, nella mente, sempre più forte e incalzante.
Adesso lo riconosco il mio dolore.
Cammino per la campagna tiepida di un autunno immaturo.
Il vento sbalza le foglie morte dei ciliegi che solo poco fa erano festanti e fioriti.
Sento i miei pensieri levarsi, poi cadere e di nuovo balzare in aria come quelle foglie.
Le fermerà l’inverno.

Le rigenera una nuova primavera.

5 ottobre 2017

Anna e noi

Eccomi.
Non avresti mai voluto che lo facessi, che scrivessi di te.
Mi avresti dato del patetico, del plateale.

Non l'avrei mai voluto neppure io.

Avrebbe significato averti ancora qui.
Eppure ci sei, ci sei ancora.
Sei in tutto ciò che vedo quando mi guardo intorno, tutto ancora parla di te.

Per quanto ancora?

Sono qui, alla mia scrivania, ma di fronte a me non ci sei tu,con la tua voce squillante, con i tuoi grandi occhi bonari e discoli.
Il silenzio è assordante.
Sto qui seduto con questo inutile e sterile ammasso di scartoffie che nulla ha di vivo.
Ho messo su un mix di Palo Conte che ti piaceva così tanto.
Mi fa stare peggio.
Non mi consola saperti felice altrove o almeno sperarlo.

Si stava bene qui e qui era la vita che volevamo vivere, avevamo tante cose ancora fare, da vedere, da imparare e vivere.

Eravamo un'esplosione di vita e di amore tutti e tre insieme e lo abbiamo testimoniato in ogni dove, a chiunque ci vedeva insieme.

Sai, vedere nei giorni scorsi un'intera comunità abbracciare me e Fortuna riconoscendo in noi una fratellanza di fatto, forse più forte che se lo fossimo stati davvero, perché ci eravamo trovati e scelti, ha significato
che davvero lo abbiamo testimoniato quell'amore che ci portavamo.
Ci ha fatto felice, pur nell'atrocità della tragedia.

Adesso fa più freddo:
come in un inverno senza il fuoco del camino,
come da soli su una panchina spazzata dal vento,
con le foglie secche di platano che cadono tutt'intorno

e la tristezza infinita dentro.

31 luglio 2017

La mia generazione ha perso

Lo diceva Gaber più di qualche anno fa, riferendosi alle scommesse ed alle lotte per la giustizia sociale o per la libertà di dire, di fare, di pensare di una generazione che voleva cambiare il mondo.
Non ci riuscì a cambiarlo, anzi in molti casi il mondo ha cambiato i ragazzi di quella generazione al punto da non raccontare neanche più ciò che volevano, ciò che cercavano, ciò per cui si erano battuti, rinnegandolo, in molti casi e barattandolo con l'agiato, indolente e inconsapevole benessere con cui hanno cresciuto i loro figli, tenendoli, così, lontani da ogni idealismo ed educandoli ad un utilitarismo che è divenuto l'approccio più normale per la propria vita.
Ecco perché quella generazione ha perso.
La mia generazione è arrivata subito dopo.
Aveva già meno voglia di lottare e voleva scordarsi degli anni di piombo, delle lotte di classe, dell'elogio dei vari pauperismi… ha cercato il benessere il godereccio, insomma, ha gettato le basi per la creazione dello sfacelo che viviamo oggi, senza valori, senza ideali, senza miti.
Ma la mia generazione non ha perso perché, in fondo, non ha combattuto.
Ma ha perso ugualmente. A volte ripenso alla mia adolescenza, al mondo semplice che c'era allora ed in cui ero perfettamente integrato, (almeno per un ragazzo di paese come ero io), al tempo scandito da eterni e splendidi rituali, alla vendemmia d'autunno con l'odore di mosto per ogni vicolo, alle aie piene di granturco messe lì ad essiccare che il più vecchio della famiglia accidiosamente muoveva con il rastrello, alle conserve di pomodoro che tutti preparavano prima di San Nicola e che terminavano sempre con peperoni e pannocchie arrostite, alle tombolate con i vicini, ogni sera d'inverno, sempre con le candele pronte nelle bugie perché al primo alito di vento andava via la luce, ai canti d'estate ed i racconti dopo la fatica nei campi che i miei nonni ed i loro vicini facevano fumando la pipa, seduti sul gradino fuori dell'uscio di casa. Ecco, la mia generazione ha perso tutto questo. Ha avuto in cambio una tecnologia che cominciava ad affacciarsi sul mondo e che ci ha trovati impreparati a servircene perché già grandi e cresciuti senza.
La mia generazione chiudeva un mondo che non ci sarebbe più stato e ne apriva un altro che non ci apparteneva.

11 luglio 2017

Il colore della vittoria

L'11 di luglio di trentacinque anni fa vincevamo Il campionato del mondo di calcio. Avevo diciassette anni.
Ricordo che ero in vacanza a San Marco di Castellabate ed avevo visto le partite con l'Argentina e il Brasile in un bar che aveva un televisore a colori.
Dopo la vittoria con il Brasile, increduli e felici eravamo tutti corsi in spiaggia a fare il bagno vestiti, per la gioia. Il mondo intero parlava della nostra piccola
Italia e noi ci sentivamo orgogliosi come non mai di essere italiani.
Vivemmo l'attesa fino alla finale con la Germania in un una specie di trance, tanto era inaspettata ed imprevista.
Giunsero le fatidiche 20 e 30 dell’11 luglio 82, io ero a vedere la partita, seduto su una sedia, in strada, col televisore appoggiato sul davanzale della finestra. Eravamo certi di vincere anche quando Cabrini sbagliò il rigore.
Vincemmo e quella notte diventò una notte magica... eravamo campioni del Mondo! Era la prima volta che vincevamo qualcosa.
Uscivamo da un decennio tragico, drammatico, di destabilizzazione sociale e politica, gli anni di piombo, la nostra economia in fortissimo affanno, la nostra moneta con un potere d'acquisto così debole da rendere proibitivo qualunque spostamento o soggiorno all'estero e noi italiani visti sempre come una specie di Calimero, personaggio di Carosello, che per chi non lo sapesse o non lo ricordasse era un pulcino "piccolo e nero" con dei fratelli tutti bianchi.
Noi irpini, poi portavamo nel cuore e nella mente la tragedia del 23 novembre dell'80. Quello fu in nostro riscatto. Il riscatto di un popolo che tornava fiero di essere italiano e poco importava se lo era per una partita contro l'odiata Germania e non per la qualità della vita, per l'arte o per il Pil.
Eravamo italiani, quelli che per una volta avevano vinto, che potevano guardare tutti dall'alto in basso e dire come faceva il ritornello di una vecchia canzone:
"Beh, cosa guardi, cosa c'è di strano? Ma non lo vedi che son italiano!"
Avevamo scoperto, come fece Calimero che non eravamo neri, ma solo sporchi e che una volta lavati eravamo diventati bianchi pure noi!
Quella vittoria sembrava portare con se' quel decennio bello e difficile, di lotte e di sconfitte, gli anni 70 che nell'82 non era ancora finito, ma che sembrò finire proprio quando l'arbitro del Bernabeu prese in mano il pallone e fischiò la fine della partita mentre Nando Martellini ripeteva:
 "Campioni del mondo!"
Il giorno dopo eravamo nel nuovo decennio, spariva definitamente il bianco e nero ed entravamo in un mondo a colori.
Ci saremmo riappropriati di quel benessere, di quella sorta di spensieratezza che avevamo perso alla fine degli anni 60 con la prima congiuntura economica post-boom ed avremmo guardato con ottimismo al nostro futuro.
Avevo 17 anni andavo incontro alla vita.
Una vita che vedevo tinta di azzurro.

2 luglio 2017

Matrimoni e dintorni

Sono tornato prima del previsto da una vacanza per essere presente al matrimonio di un mio caro cugino che sposa oggi: Armando.
Sono tornato perché avevo piacere di esserci e perché avevo colto in Armando un sincero dispiacere quando gli avevo detto di non poter essere presente.
Non me ne sono pentito.
Ad accogliermi (senza sassi) una allegra e festosa atmosfera, leggera e scanzonata... i volti noti della mia vita di fianco a me.
Ci salutiamo felici di essere lì insieme a condividere un po' del nostro tempo, a trascorrere una giornata insieme ed a fare le stesse cose, come se il tempo non fosse passato, come quando,da ragazzi, i nostri genitori ci portavano al mare o al Terminio.
Ci sediamo fuori per l'antipasto, un tavolo fatto tutto da cugini della stessa generazione (più o meno) e cominciamo a ridere ed a divertirci come degli adolescenti.
Entriamo in sala ed il tavolo è lo stesso, il cazzeggio pure. Rido, ridiamo come non ci capitava da tempo.
L'atmosfera è così bella e distesa che li sento organizzare un'altra cena di cugini.
Mi astraggo e non partecipo alla discussione...li guardo, sembrano un'istantanea in bianco e nero ...sono le figure più antiche che ricordi, quelli con cui sono stato a contatto, perché i nostri genitori si riunivano spesso... mi sembrano tutti come allora.... adesso che siamo a tavola, allegri e felici, spogli del nostro vissuto.... disinteressati e dimentichi di ciò che siamo diventati ...li guardo ancora e riconosco e vedo in loro un po' di me.
Sento montare un affetto straripante e la solita malinconia al pensiero del tempo andato e perduto.
Decido di non pensarci e di godere di questi momenti, di questa giornata che ci ha visto ancora insieme, bambini cresciuti che nascondono dietro le rughe, i capelli bianchi o gli affanni del cuore, il perpetuo retaggio di un piccolo mondo, di un eterno moto di affetto da cui nessuno può prescindere.
E che bello rendersi conto che è così!

21 giugno 2017

El pueblo unido

Sono un grande consumatore di musica. La compro su I Tunes e l'ascolto in macchina.Da solo più che altro, perché la sento a tutto volume.
Per ascoltarla così come mi piace, cioè cercando di cogliere tutti gli strumenti, i cori, i controcanti mi sono dotato un impianto audio in macchina che mi è costato quanto gli interni in pelle!
A volte il mio potente impianto serve a poco perché è vero che sono un consumatore di musica, ma solo di un certo tipo di musica, quella che riesce a toccarmi l'anima ed il cuore, quella che nasce per dire qualcosa con un linguaggio proprio, diverso, insolito, che riesce a raccontare un'emozione, un sentimento delicato ed intangibile senza banalizzarlo e che quindi predilige il testo, la lirica, alla musica.
Certo, amo anche canzoni leggere, perfino stupide, nelle quali, però è così bello il connubio tra musica e parole, è così intensa la loro simbiosi da farne un capolavoro comunque.
Periodicamente compro della musica che aggiungo alla penna che ho in auto, sempre la stessa musica, quella che mi piace e che ho già a casa su cd o vinile ma che non riesco più ad ascoltare in auto visto che nel mio impianto non è previsto l'ascolto su cd.
Allora vado su I Tunes e compro qualcosa degli Inti Illimani, storico complesso cileno, fiero oppositore di Pinochet.
Compro Simon Bolivar, La fiesta de San Benito, Alturas e El pueblo unido  jamás será vencido
Salgo in auto, strada poco battuta, volume al massimo per ascoltare una versione dal vivo di "El Pueblo Unido" che mi lascia allibito... la conosco a memoria, la canto insieme a loro a squarciagola.
L'ascolto più volte e mentre la ascolto la mente mi porta a quando la ascoltavo, negli anni 70 alle feste "de l’Unità " che i Comunisti di allora organizzavano anche qui a Montoro, ignaro di cosa dicesse, di cosa avesse significato per i popoli oppressi del centro America e di quale grande messaggio di speranza portasse con se' ma che mi suscitava le stesse cose che mi provoca adesso, un senso di insofferenza a questo mondo ingiusto, a questa società bieca e cieca, indifferente alle istanze ed ai bisogni degli altri, dedita a privatizzazioni, arricchimenti e smantellamento dello stato sociale!
Ma il Pueblo non è più unido.
Ne parlavo con un caro amico, giorni fa in auto, mentre gliela facevo ascoltare e lui mi raccontava di un'esperienza fatta da studente in Corsica dove la sera ci si riuniva e si cantava El Pueblo unido o Bella Ciao che ha la stessa valenza storica ed evocativa, a significare l'universalità di un linguaggio, di un'istanza di libertà e di giustizia innata nel cuore e nella mente dei giovani. Ahimè non è più così.
Mi rincresce rimarcare una sonnolenza, una indifferenza, una reticenza dei giovani di oggi rispetto alle passioni, alle istanze, alle lotte che li ha caratterizzati per generazioni e generazioni.
Li abbiamo ridotti a consumatori passivi di presente senza futuro, come del resto siamo ridotti noi tutti.
Non tramonti la speranza che il Pueblo si unisca ancora per ritrovare la sua dignità di popolo e non di massa, di pensiero e non di consumo, di giustizia e non di indifferenza!
"Da qualche parte un giorno
dove non si saprà
dove non lo aspettate 
il Che ritornerà"

14 giugno 2017

L'ora che volge al desio

Di nuovo sul treno. Mi capita spesso ultimamente.
Lo apprezzo sempre di più, il treno.
È tranquillo nonostante vada a 300 all'ora. È tranquillo e me la trasmette la sua tranquillità.
È l’imbrunire, quell'ora del giorno che è un po' come erano gli abiti delle donne di una volta, "vedo e non vedo"... anzi più che vedere lasciavano immaginare ciò che decidevamo di vederci.
Vedo passare davanti a me, dietro il vetro, paesini appoggiati a dolci colline come vi si volessero coricare, stanchi dell'afa del giorno che sta passando; le piccole luci che cominciano ad accendersi donano loro il fascino ed il sapore delle cose andate, delle cose perdute...o almeno è ciò che la mia mente ha deciso di vederci ...mi sovviene la solita melanconia, mi pervade, mi rattrista e poi mi scuote, ma non mi abbandona, mi accompagna, lo fa da sempre, anche nei momenti più felici, ma non mi infastidisce, mi appartiene.
Sento che non ne potrei fare a meno, è lei che mi suggerisce i pensieri, che mi intenerisce e stempera il mio brutto carattere, che mi fa cercare il modo di liberarmene, modo che non trovo e che non voglio trovare....ma mi fa cercare; mi spinge a vedere oltre, come adesso che continuo a guardare fuori come il buio riesce ad avere la meglio sul giorno e mi convinco che quelle lucine di quel paesino toscano accolgano e riassumano la fatica di un giorno andato e la speranza di un risveglio migliore.

2 maggio 2017

La felicità

Sono in treno.
Ho tempo.
Ho tempo per stare da solo e in silenzio.
E penso. Penso a quante serate, nottate abbiamo passato a chiederci, con i compagni di Viaggio, quelli fissi e quelli occasionali, quelli vicini e soprattutto quelli lontani, quelli d'inverno e quelli d'estate (che alla fine hanno finito per coincidere) di quale fosse il senso del nostro esserci, a cosa bisognasse cercare per vivere degnamente la nostra vita.
Ci siamo chiesti cosa fosse la felicità, se esistesse, come si potesse raggiungerla o ancora, come si potesse conservarla una volta raggiunta...
Abbiamo solo perso il sonno, senza mai trovare una risposta, una risposta univoca o condivisa...
Poco ci importava...
Ne avremmo riparlato ancora per altri giorni e notti, tra chitarre, canzoni, cornetti e nutella, pistacchi ed arachidi...
Nel frattempo, vivevamo.
Sempre con quella sete inappagata, quella voglia di capire, di andare oltre...
Ma era proprio quella sete che ci spingeva oltre.
Che ci spinge oltre...
Poi mi sono convinto, ci siamo convinti che la felicità fosse uno stato così fugace da poter essere definita come "quella cosa che appena l'hai trovata l'hai già perduta"
Ma è tutto e niente...
E allora si va avanti...
Poi gli affanni, i dolori, le sconfitte disilludono, segnano, lacerano...
Ecco, allora, che il chiedersi diventa meno affannoso ed astratto; il cercare diventa meno ansioso e frenetico...
Senti il sole sulla pelle di prima mattina e ti senti sereno...
Guardi un fiore che si prepara a schiudersi e ti senti vivo...
Che sia proprio quella la soluzione?
Che sia proprio quella la felicità?
Quella che avevamo senza sapere di avere?
Si, penso sia quella...
Semplicemente la VITA.

14 aprile 2017

Before you call him a man


How many roads must a man walk down.

Quante strade deve percorrere un uomo prima di poterlo chiamare uomo.
Da bambino credi di amare i secondi piatti e non la pastasciutta, la matematica e non il latino, Nietzsche e non Marx, la prosa e non la poesia, la scienza e non l'arte.
Ci credi perché nell'età in cui ti formi, nel posto in cui ti formi e le persone con cui ti formi te ne convincono e tu ti lasci convincere perché credi che sia giusto così...ne sono convinti anche loro, ché mai ti consiglierebbero qualcosa che ti sia inutile o addirittura pregiudizievole....
Poi cresci, studi, viaggi, incontri, impari e ti rendi conto che il più delle cose in cui credevi non ti convincono più...ti senti spaesato e sgomento ma anche voglioso di scoprire nuove cose, di farti sopraffare dagli amori autentici che hai scoperto di provare e che sono sempre stati dentro di te seppur relegati in un angolo malcelato, di voler dare voce a tutto quanto ha taciuto e spendersi per cercare la bellezza in ciò che fai e che incontri ...con lo stupore, l'entusiasmo e l'illusione di un bimbo.
Ma bisogna affrettarsi, la vita, il tempo è fuggevole... ci si può inaridire... si può perdere entusiasmo e disilludersi.
Non bisogna smettere di credere che per sognare basta chiudere gli occhi, che per volare basta solo un alito di vento, che per sperare basta solo desiderare...

22 marzo 2017

I ragazzi del 58


Quando ci si divertiva con niente e la coesione sociale era un fenomeno spontaneo, che prescindeva da rango, professione ed età.

Si vede all'estrema destra, accosciati Sabato Montone (Sapatiell' 'o Pittor') e Cerrato Michele (M'chel' 'o Mbustat') classe 1936 e per esempio Gennaro Montone (il sesto da sinistra tra gli accosciati) classe 1958!!!

19 marzo 2017

Solo e pensoso

Domenica pomeriggio.
Una come tante.
Con la solita malinconia di una festa appena trascorsa.
Malinconia resa ancora maggiore dal clima tipicamente quaresimale che non ha mantenuto la promessa fatta con il tiepido sole di questa mattina,col silenzio irreale che c'è per le mie contrade mentre le attraverso...
Incontro un vecchio amico, conversiamo e ci lagniamo di come è peggiorato il mondo ed il nostro paese e di com'era tutto più bello quando eravamo ragazzi.
Lo lascio e continuo a camminare.
Penso che un po' è vero che tutto è un po' peggiorato, ma è vero soprattutto che eravamo ragazzi e tutto ci sembrava nuovo e bello, non avevamo coscienza della vita vera, del dolore, della noia così come pure, però, della gioia piena e del gusto rotondo di quanto si vive.
Una cosa però sembra sparita oggigiorno nei giovani e che invece in noi era sempre presente e cioè la convinzione che insieme avremmo potuto fare qualcosa per migliorare noi stessi ed il mondo che avevamo intorno ...non era vero... ma ci credevamo ...
Continuo a meditare e a camminare e mi ritrovo in piazza, nella mia piazza e vedo un piccolo assembramento davanti alla chiesa; chiedo cosa ci sia e mi dicono che dentro, in chiesa, c'è il Sacramento esposto....
Non mi interessa.
E' un po' che ho smesso di credere alla chiesa cattolica (e a tutte le altre) essendomi persuaso che Dio esiste in ogni dove e nel volto e nel cuore di chiunque mi sia accanto quando do e ricevo amore .
Entro lo stesso, è da tanto che non lo faccio...
Apro la porta e il profumo intenso ed antico di incenso mi riporta indietro, a quando quella chiesa mi sembrava immensa ed il prete temibile... alle volte in cui ci ho cantato...
Alzo gli occhi e l'altare splendidamente addobbato in cui campeggia il Paraclito, mi intimidisce...
Sussurro una preghiera ed esco.
Fuori il solito gioioso trambusto tipico delle quarantore...
Sorrido fra me e me e penso che in fondo qui, ci sarà sempre qualcosa che mi parlerà di me, ogni volta che ne avrò bisogno.

In un modo o in un altro.

26 febbraio 2017

Que reste-t-il ?

Sono qui, al riparo dal frastuono insopportabile di questa ultima domenica di carnevale che come ogni anno invade il mio borgo e la mia piazza rendendola fruibile solo ad una folla informe che si droga al chiasso inebetente proveniente dal palco.
Un chiasso prodotto da cd di obsoleta disco-dance sparati a palla da potenti altoparlanti con l'intento solito e ben collaudato di stordire gli astanti e propinare loro il rumore anzidetto che un sempre più forsennato ed improbabile speaker ed i suoi committenti distrattamente spacciano per tradizione e memoria storica!
Ma tant'è....
Mi si dirà che sono il solito disfattista cui non va bene nulla.
Sarà anche vero, ma ritengo che ogni occasione debba essere il pretesto per imparare qualcosa da qualcuno, che debba essere spiegato da qualche parte o in qualche modo perché si fa una cosa e non un'altra, che cosa sia una tradizione e come possa tramandarsi e rinnovarsi, spiegandolo soprattutto ai giovani, a quelli che non la conoscono, di cosa si stia parlando o cosa si stia facendo....
Ma oramai, in quest'epoca che va sempre più in fretta, l'epoca del fast food quello che conta è di sentirsi costantemente sazi, di cibo, di sesso, di alcol di divertimento, acciocché non vi siano mai occasioni per riflettere ed accorgersi del proprio vuoto...e di quello che questa vita casuale contribuisce a creare ....
Che cosa si potrà mai creare dalla casualità ?
Come si potrà migliorare la nostra vita, il nostro mondo ignorando il senso di ciò che facciamo?
Que reste-t-il?

3 febbraio 2017

Ogni favola è un gioco

C'era una volta una bambina molto fortunata che si chiamava Biancaneve.
Appena nata le morirono i genitori e fu allevata da una matrigna cattivissima che aveva anche due figlie Anastasia e Genoveffa.
Queste sorellastre la maltrattavano sempre e le davano dei gran pestoni sui calli e sui piedi facendoglieli gonfiare per evitare che ove mai si presentasse qualcuno a farle provare una scarpetta questa le andasse stretta...
Ora, questa bambina fortunatissima un giorno si inoltrò nel bosco con un suo amico che era una specie di gnomo che si chiamava Pollicino.
Dopo qualche ora di marcia Biancaneve aveva fame e chiese a Pollicino se avesse qualcosa da mangiare.
Pollicino disse di no ma non era vero, visto che buttava via inspiegabilmente moltissime molliche di pane.
Appena Biancaneve se ne accorse si arrabbio talmente che gli lanciò un anatema e lo trasformò in un ranocchio.
In quel mentre passava di lì il Principe Azzurro che tornava dal funerale della Bella Addormentata nel bosco ed a furia di dare baci a tutti quelli che gli erano andati a dare le condoglianza, non volendo, baciò pure il ranocchio che diventò pure lui Principe Azzurro.
I due si innamorarono subito e se ne andarono mano nella mano.
Dopo un po' si seppe che avevano fatto "outing" ed avevano aperto un'associazione ONLUS per il riconoscimento delle coppie di fatto di Principi Azzurri gay e per la trasformazione dei Principi Azzurri in Principi Rosa.
Operazione, quest'ultima, da effettuarsi a Casablanca.
In quel mentre Biancaneve intravide una bambina con un cestino che piangeva forte forte.
Era cappuccetto rosso che tornava dalla casa della nonna che avendo il diabete non aveva voluto la merenda e l'aveva cacciata fuori.
Cappuccetto aveva ancora la merenda nel cestino e voleva buttarla via, ma Biancaneve la fermò e le disse di portarla a tre suoi amici porcellini, Qui, Quo e Qua, perché', si sa, col maiale non si butta niente.
Mentre camminavano verso la casa dei porcellini si imbatterono nella strega Bacheca che offrì loro una mela cotogna.
Biancaneve si avventò sulla mela per divorarla quando ecco apparire il Grillo Parlante che le disse di ricordarsi che "finimondo" avevano fatto scoppiare Adamo ed Eva per una mela...
Biancaneve desistette ed allora la strega si incalzò come un coniglio ( nelle favole i conigli sono molto incazzosi) e le condusse a forza a casa sua chiudendole in una gabbia per farle ingrassare e poi mangiarle.
Nella gabbia c'erano già Hansel e Gretel, il Gatto e la Volpe e la Piccola Fiammiferaia che aveva finito tutti i fiammiferi e per scaldarsi aveva dato fuoco a Pinocchio che siccome era stato fetente e bugiardo era diventato di legno.
Col fuoco, il gatto si era riscaldato i piedi pieni di geloni e riuscì a infilarsi gli stivali dalle sette leghe ed in un battibaleno si trovarono tutti su di un Pisello insieme ad una Principessa antipatica.
Non sapevano come scendere, allora arrivò la fata Turchina che li riportò a terra e chiese se avessero visto Pinocchio che' il padre lo cercava.
La piccola fiammiferaia, con una faccia tosta rispose che Pinocchio aveva trovato lavoro come pompiere e che si era "leggermente" ustionato il naso... 
......Ma ecco che Alice si sveglia, intontita da tutta questa confusione onirica....
Ah !!! Allora era solo un sogno!
Meno male! 
Ed ecco allora restituita Biancaneve ai sette Nani, Cenerentola e la Bella Addormentata ai rispettivi Principi Azzurri, Cappuccetto alla Nonna e Pinocchio a Geppetto...
e tutti vissero felici e contenti nella loro fiaba!

11 gennaio 2017

Faber

Oggi sono 18 anni che te ne sei andato.
Ricordo sempre ...quei giorni passati a rincorre il vento,a volere far scendere dal mio torrente i lucci argentati...invece sale la nebbia sui prati bianchi come cipressi nei camposanti,comunque,lascia che sia fiorito,Signore,il suo sentiero, perché si sa,la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio!
Ma seppure Michè non ti ha scritto spiegando perché,sembra ancora sentirlo cianciare nel grembo umido,scuro del tempio che Fernandinho resiste e vomita e si contorce dal dolore,anche se gioia e dolore hanno il confine incerto nella pietà che non cede al rancore,ma nonostante io sia molto più ubriaco di voi,per quanto voi vi sentiate assolti siete per sempre coinvolti!
Chissà cosa ne sarà di Charlie che cadde mentre lavorava e di Marinella che fu portata in cielo su una stella, di Sally col suo tamburello,di Titti coi suoi due amori e di Franziska che è stanca di ballare con un uomo che non ride e non la può baciare... e del matto che aveva un mondo nel cuore o del chimico morto senza l'amore che aveva invece fermato il malato di cuore? Dormono,dormono sulla collina.Dormono insieme a Te. Le vostre ossa regalano ancora alla vita, le regalano ancora l'erba fiorita.
Dai diamanti non nasce niente
Dal letame nascono i fior!
Ciao dolce Faber

9 gennaio 2017

Si, Viaggiare!

La nostra " radiosa" amica Anna A. Formica ha appena creato un gruppo su Whatsapp che porta lo stesso nome del post che mi accingo a scrivere.
Lo ha creato per dare un seguito al viaggio appena concluso che ci ha portato in diverse località del nord italia.
Il gruppo partito la mattina del 4 di gennaio (alle 7 e 37 come ci ha ricordato per tutto il viaggio Gennaro Montone fino a fracassarci i cabbasisi) composto da affezionati partecipanti e da alcune novità, è molto variegato: c’è chi è single, chi è sposato e chi si è fidanzato da poco, c’è chi si frequenta spesso e chi non lo fa, c’è chi è appassionato di arte, chi lo è di musica, chi lo è di lavoro o di calcio o di quello che gli pare.
C’è un tratto che accomuna tutti: la voglia di confrontarsi, conoscere e comprendere chi e che cosa c'e' oltre noi stessi ed il nostro quotidiano. Non è vero. C’è solo la voglia di rilassarsi, di uscire dalla routine, di abbandonare pensieri e preoccupazioni e (ri)vivere come se si fosse degli adolescenti in gita scolastica!
Appena saliti sull'autobus si crea un' intesa inaspettata ed inspiegabile, un clima familiare e conosciuto dove ognuno è a proprio agio, sta bene, si sente parte integrante di un tutt'uno.
Basta un'oretta e tutti si sciolgono, ci si sente accomunati da uno stesso destino, da quella meta che insieme ci si è prefissati di raggiungere... ma è il primo convivio quello che dà il colpo di grazia a qualsiasi tentennamento, ad ogni remora... ci si siede a casaccio, senza gruppi preordinati e si entra in contatto con quell'intimità di ognuno che è il mangiare e il bere.
Si canta, si conversa e ci si confronta su tutto ciò che capita, si ride a crepapelle, si mangia come da Lucullo, si visitano città, castelli, musei.
Si impara un po' d'arte, di storia, di architettura, ma si impara soprattutto a vivere insieme, a posporre le proprie esigenze a quelle del gruppo.
Si torna, poi, tristi e felici, con gli occhi ed i sensi inebriati da un'esperienza tanto totalizzante per tempo ed emozioni.
Con la consapevolezza che ciò che rimarrà sarà il confronto generato che avrà contribuito ad accrescere la conoscenza di noi stessi e degli altri ed a rendersi sempre più conto di quali e quante cose ci siano oltre il nostro quotidiano che di solito ignoriamo e che adesso abbiamo sempre più voglia di catturare e non lasciarci sfuggire.
Com'è cambiato il tratto che ci accomuna adesso che siamo arrivati rispetto a quello di quando siamo partiti.
Alla prossima.
Grazie a tutti.