24 dicembre 2016

Il Giorno di tutti

Passeggio nella malinconica solitudine del giorno dopo il "sabato del villaggio."
Non si ode nessun rumore, sembra essersi assopito il mio villaggio, illuminato da un basso sole forestiero che non mi scalda e che rende tutto ancora più irreale.

Foto di Giovanni Galdieri
Tutto sembra volersi riposare dopo la frenesia e l'attesa per Ciò che in un momento è già passato.
È già passato, come ne sono passati tanti di questi Giorni.
Ognuno ha lasciato in me un ricordo, un'istantanea.
Ricordo quello in cui c'era poco ma c'eravamo tutti, quello in cui ho perso a carte tutti i soldi dei regali e quell'altro in cui aveva nevicato e la neve aveva creato un'atmosfera da favola dysneiana.
Ricordo pure quelli in cui ci siamo ritrovati in pochi con le tavole imbandite.

Comunque sia, qualunque sia il ricordo che mi sovviene, mi sento sereno allo stesso modo e penso a quanto saremo fortunati a poterlo vivere ancora questo Giorno con il carico di attese che lo precede perché resta il solo momento autentico in questa vita artificiale, il solo Giorno in cui ci è concesso di sentirci felici come i bambini, di mostrarla a tutti senza pudore quella felicità, di vederla anche negli altri e di augurarsela.
E allora, Buon Natale

19 dicembre 2016

La grande bellezza

Sono stato con alcuni cari amici e colleghi di lavoro a Roma lo scorso sabato.
Avevamo prenotato una visita guidata ai Musei Vaticani ed alla Cappella Sistina.
Ci siamo svegliati di buon ora e siamo partiti con il freddo delle sette di un mattino invernale e con intorno il bianco della brina per arrivare a Roma in tempo per godercela in tutta la sua prorompente ed esagerata bellezza.
Appena arrivati ci accoglieva un tiepido sole che liberava la città eterna da quell'abbraccio di foschia in cui era avvolta e che le donava il fascino ed il mistero che solitamente non le riconosco. 
Siamo passati per la chiesa di Santa Maria della Vittoria per ammirare l'orgasmo mistico di Santa Teresa colta nel momento dell'estasi dal Bernini prima di arrivare all'appuntamento con la nostra guida davanti all'ingresso dei Musei Vaticani.
Ci siamo persi in una sovrabbondanza di capolavori inestimabili ...gli occhi, la mente, i sensi tutti... insufficienti ad assimilare e trattenere tutto...ma quando ho rivisto le stanze di Raffaello, quando mi sono perso nel "sapere razionale" lì immortalato che è la Scuola di Atene, dove il grande pittore ha immaginato a braccetto Platone e Aristotele,Socrate ed Epicuro, Diogene ed Eraclito, ho avuto una specie di "sindrome di Stendhal" provocatami ancora, più tardi, dalla volta della Sistina quando osservavo con il capo all'indietro "la trasmissione dell'energia" e quindi della vita da Dio ad Adamo che mi dato l'idea più della raffigurazione del Big Bang che della creazione dell'uomo.
Dopo il pranzo trasteverino, sotto lo sguardo benevolo di Giuseppe Gioacchino Belli attraversavamo Ponte Garibaldi sopra un Tevere silenzioso ed immobile e con il "Cupolone" in fondo, costeggiando la Sinagoga ci inoltravamo in quello che fu il ghetto ebraico ed all'interno del teatro Marcello per salire fino al Campidoglio ed ammirare il "Foro" dall'alto ...i fori imperiali, San Pietro in Vincoli che ospita il Mosè, la più bella opera della maturità di Michelangelo, per tornare poi a Piazza di Spagna pullulante di festosa umanità;una passeggiata a Via Margutta con i suoi improvvisati artisti,una cioccolata al Caffè Greco e via, verso casa con una splendida luna di fianco.
Finisce la giornata, e ci rendiamo conto della bellezza di cui si siamo nutriti per tutto il giorno, che ci ha pervaso e che ancora è nella mente...
La bellezza, come tutti gli altri concetti, per dirla con Platone,è già dentro di noi, ci appartiene da sempre, ne percepiamo in questa vita solo una sbiadita e malfatta copia...
È vero fino a quando non si va a Roma e fino a quando non la si guarda in silenzio... fin quando non ci si siede ad osservarla, ad osservarne la luce, i colori,la cultura,insomma la BELLEZZA che è proprio quella del "mondo delle idee" non ne' è la copia...e che rende piccolo tutto il resto....

LA GRANDE BELLEZZA

1 novembre 2016

La bestia nel cuore


Sono stato qualche giorno fa in un grande centro diagnostico per accompagnare una mia cara amica.
Questo centro è così efficiente, elegante, sobrio ed accogliente che al cospetto un centro svizzero sfigurerebbe.
Poi esco a prendere una boccata d'aria e mi trovo al centro di Torre Annunziata dove è tanto lo sfacelo, l'immondizia e la decadenza che al cospetto Baghdad sembrerebbe la Svizzera.Torno dentro,mi siedo ed aspettiamo.
È un centro polispecialistico, molto efficiente e dotato delle più sofisticate apparecchiature al punto che ci viene gente da tutta Italia.
Ovviamente non ci va gente che deve propriamente curarsi il raffreddore.
Si siede vicino a me un signore, un settantenne con l'aria imbambolata che apre un referto che ha appena ritirato.
Mi è seduto così vicino che non posso fare a meno di guardare... lui indugia nella lettura, mi accorgo che non ci capisce molto, io invece ho letto che non è un buon referto... vorrebbe che lo aiutassi a leggere, a capire, mi cerca con lo sguardo... fingo di guardare altrove, poi, mi alzo ed esco.
Sento parlare con accento romano, due giovani coppie spaesate chiedono informazioni ma vogliono condivisione e rassicurazioni;c’è una ragazza, più o meno una quarantenne che dal cognome sembra nostra conterranea; chiediamo ai parenti che l'hanno accompagnata e ci confermano che sono di Serino.
Sembra di essere nello scompartimento di un treno, quelli di una volta, dove eri contento di trovare un paesano che faceva il tuo stesso viaggio o qualcuno che abitava in un posto dove eri stato una volta e lui ti confermava che era ancora così. Ma non c’è allegria in questi incontri.
Guardo la gente che si siede, che si alza, che aspetta, che chiede... hanno tutti la paura di fianco e la speranza negli occhi.
Bisognerebbe andarci spesso in quei posti... per comprendere l'essenza stessa della nostra vita, per imparare o ricordare di amare noi stessi, e gli altri... per evitare di consumare la vita ad inseguire vacuità o vanagloria... bisognerebbe condividere la voglia di vivere di sperare e di lottare con chi lo fa ogni giorno; con chi combatte una battaglia che non riguarda l'affermazione personale, la conquista di una bella donna o di un nuovo e prestigioso cliente... con chi vive con una bestia nel cuore e lotta per poterla vedere andar via.

19 ottobre 2016

L'uomo assurdo

Sono sul treno,di ritorno da Milano.
Sono seduto al mio posto.

Stretto, così stretto, da trattenere a stento un travaso di bile.

Sono ormai due ore che viaggio e non ho sentito fiatare nessuno se non due ragazze, presumibilmente colleghe di lavoro, che si sono sedute a fianco a noi, ovviamente senza salutare ne' quando si sono sedute ne' quando si sono alzate come se non ci fosse nessuno e parlando del loro lavoro tutto.
Il tempo.
Per il resto, un silenzio tombale rotto solo dagli squilli dei telefonini i quali sembrano voler testimoniare la loro antica vocazione, cioè quella di avvicinare, agevolare i rapporti umani, non quella di allontanarli al punto da renderli inesistenti e creare il senso di alienazione di cui è affetta la nostra società "civile".
E pensare che solo domenica sono stato a Napoli per andare a vedere il capolavoro di Caravaggio esposto al Monte di Pietà, ai Tribunali, per intenderci: le sette opere di misericordia.
Sono passato per porta Nolana, lambendo Forcella, mi sono mescolato alla folla colorata e chiassosa del mercato che c'era lì, in mezzo a strilloni che vendevano e che compravano, attraverso la "normale illegalità " dei venditori di sigarette di contrabbando, tra pescivendoli puzzolenti che giuravano sulla freschezza del loro pesce più puzzolente di loro mentre la signora della bancarella di fronte generava sincera ilarità tra i passanti aggiungendo che i pesci avevano la stessa età del pescivendolo.
Insomma, ho respirato sprazzi di umanità che non sentivo da tempo, neanche lì, a Napoli, che stereotipi e luoghi comuni hanno sempre immaginato così.
Arrivo al Museo, entro e resto inebetito davanti al genio di Caravaggio che appena arrivato a Napoli dipinge "le sette opere di misericordia" che aldilà dei riferimenti evangelici è stato il pretesto, secondo me, per descrivere, con il suo realismo, quello che aveva visto appena arrivato a Napoli, ha fatto, cioè, il riassunto di quello che aveva colto di Napoli: una città devastata dalla fame, dall'ingiustizia sociale, dal sopruso del potere, ma capace di continue opere di misericordia!
Poi torni alla realtà, quella fatta di uomini inseriti, di gente impegnata a costruire il suo nulla con nessuno, a illudersi di vivere, certa com'è di poter prescindere da tutti gli altri appena non sono più funzionali alla creazione ed al consolidamento della propria assurda esistenza.
La irrazionalità della vita così come concepita, che solo di fronte ad un trauma, ad un dolore, o alla percezione della fine di tutto sembra gridare un senso, genera l'uomo assurdo, che conduce una vita assurda e che non trova più la percezione di sé, di ciò che sta facendo, di ciò che sta costruendo (o meglio, distruggendo),un uomo sempre più distante dalla sua natura, dalla sua umanità, che non ha più neanche il retaggio della misericordia.
Sento suonare un telefonino. Chissà che non ricordi a qualcuno che, in fondo, è ancora vivo!

23 agosto 2016

Impressioni di viaggio

Quasi seimila chilometri in auto per sconfessare o confermare un pregiudizio:la Germania.
È proprio questo il pregiudizio.La Germania.
Partiti il mattino di una bella giornata di sole con Fortuna,Anna, Rita ed Agostino Landi,con l'allegria e la spensieratezza degli adolescenti in gita scolastica, facciamo tappa a Bagno Vignoni in Toscana.
Visitiamo il piccolo borgo termale, ci bagniamo nelle splendide piscine naturali e ceniamo a Pienza in un magnifico giardino mentre il sole sprofonda dietro le colline della Val d'Orcia regalandoci un tramonto emozionante.

Dormiamo a Chiusdino di fronte alla Abbazia di san Galgano una imponente chiesa senza ormai l'originario tetto plumbeo che le dona un fascino inconsueto e che ci fa sentire ancora più piccoli di quanto già ci si sente di fronte a tanta bellezza. Notiamo, la cura d la tutela riservata a quei posti dai loro abitanti nel conservare la memoria di ciò che è stato, trasformandola oggi in bellezza e perché no,in ricchezza.
Ci rimettiamo in auto alla volta di Rosenheim, prima tappa tedesca. Il viaggio è molto piacevole;si discute e si dibatte su tutto. Saliamo su per l'Italia ed paesaggio comincia a divenire diverso dal nostro.
Ci rendiamo conto che quella è già un'altra Italia, ordinata, precisa, compiuta, tutt'altra cosa rispetto alla nostra dove tutto sembra precario.

Ne discutiamo ed Agostino che ha una visione semantica dell'architettura ci spiega che da noi domina il concetto architettonico del "non finito" che nella sua precarietà visiva,mette, però, chi la osserva o chi ci vive,nella possibilità di aggiungervi sempre qualcosa e qualcosa di suo,permettendogli in tal modo di esserne artefice e di sentirvi si integrato;lassù,invece c'è il concetto di "finito"... è già tutto fatto...
Allarghiamo il concetto e comprendiamo il senso delle differenze tra noi di quaggiù e loro di lassù o almeno pensiamo di averle comprese:o pensi e ti comporti come loro o sarai sempre un ospite!
Attraversiamo il Brennero, ceniamo ad Innsbruck, in Austria a base di Krauti e würstel.
Ce ne pentiamo.
Pensiamo di rimediare mangiando un dolce... Idem.
Proseguiamo e pernottiamo a Rosenheim.
Il sole ci sveglia infondendoci ottimismo e voglia di vedere,di conoscere, di scoprire.
Ci attende una città graziosa e la visita ad uno dei castelli di Ludwig che raggiungiamo dopo una piacevole gita in battello su di un lago.
Ci rimettiamo ancora in viaggio e raggiungiamo Tübingen, cittadina sede di una prestigiosa università diffusa su tutto il territorio.
Istituti e facoltà distribuiti in centro e in periferia,in palazzi storici e in edifici all'uopo costruiti,ne fanno una città universitaria e non la sede di un'Università!
Da lì raggiungiamo e visitiamo molte cittadine della Romantishe Strasse,con le loro viuzze,le stupende chiese gotiche i castelli di Ludwig.
Incontriamo molta gente, con alcuni conversiamo,sono gentili, affabili,anche se a sentirli parlare in quella lingua dura e perentoria mi ritornano in mente immagini sgradevoli...
Contrariamente a ciò che pensiamo, sanno vivere la vita:lavorano per vivere, non vivono per lavorare come spesso facciamo noi;c'è sempre gente in giro, anche gli anziani che non rinunciano a vivere come spesso fanno i nostri e i giovani si divertono senza eccessi;li trovi in giro in gruppi che si divertono o da soli su un ponte i sul greto di un fiume a leggere un libro non con il tablet...
Le loro città sono costruite per viverci insieme,l'edilizia urbana privilegia gli spazi comuni che sono il cuore pulsante della vita cittadina.
Un bell'esempio di ciò è a Monaco, dove ad un passo da Marienplatz è stato concepito uno spazio dove un migliaio di persone possono mangiare insieme, mescolandosi su grandi panche e tavoli dopo aver preso,ai vari chioschi?
Che ci sono intorno, da mangiare e bere.
Ci siamo stati anche noi e non abbiamo sentito un diverbio,un contrasto tra le moltissime persone che affollavano quel posto nonostante gli ettolitri di birra bevuti…
L'altra faccia della medaglia è una rigidità impressionante che hanno nell'osservare pedissequamente le regole che si sono dati che ne frenano inevitabilmente la creatività, la libertà.
Sembrano sfogare la loro insofferenza quando si mettono al volante.

Siamo stati molto bene in questa parte della Germania che è la Baviera,siamo stati felici di aver scelto questa metà...
Il pregiudizio è svanito... ma solo quando ho riattraversato il Brennero mi sono sentito a casa.

2 agosto 2016

Lo stupore della bellezza

Sono appena tornato da una vacanza in Sicilia. Sicilia sud-orientale

La compagnia di amici collaudata e goliardica ha reso oltremodo piacevole il soggiorno.
Ho visto in otto giorni, otto spiagge diverse e poi all'imbrunire mi sono perso nel barocco settecentesco di quel pezzo di Sicilia che è quello che preferisco.
Sono passato dal 'salotto' che è Ortigia dove per buffet c’è la Cattedrale e per cristalliera Santa Lucia in Badia che ospita uno splendido Caravaggio, al Teatro Greco di Siracusa; dalla sontuosità di traboccante barocco che è Ragusa Ibla alla popolare Marzamemi, dove ancora si respirano la fatica e gli stenti degli uomini della tonnara;
dalla val di Noto ammirata dall'alto del castello di Donnafugata, con i sui ficus testimoni di secoli di imperturbabili silenzi, al fascino per nulla sobrio di Noto, Modica e Scicli con il loro inebriante tripudio di beltà.
Ho visto questi posti molte volte.
Amo sedermi davanti ad uno di quei caffè ammirato ed incredulo del posto in cui sono, a testimoniare che il tempo a volte sembra essere "un signore distratto...un bambino che dorme".. 
Non mi abituo mai alla loro bellezza.
Anzi, me ne stupisco ogni volta.
Me ne stupisco come un bimbo davanti al cilindro di un prestigiatore da cui è appena apparso un coniglio. Mi stupisco della bellezza.
Della bellezza come valore aggiunto della nostra esistenza. Anzi, l'essenza stessa della nostra esistenza.
La dobbiamo cercare, trovare e cogliere, ma non dobbiamo mai abituarci a lei, ce ne dobbiamo sempre stupire, perché solo così riusciremo a non contaminarla, a non mercificarla, a non banalizzarla, ma a crearne ancora, fuori e dentro di noi.
Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo.
Io gli credo.

2 luglio 2016

Milano

Da bambino,nei primi anni settanta, vedevo la foto enorme del Duomo stampata sul panettone Alemagna e mi chiedevo dove fosse quel posto con quel monumento così bello e che produceva l'ambito dolce natalizio (il pandoro di Verona sarebbe arrivato anni dopo); guardavo Totò che identificava Milano come " la capitale del Nord" da raggiungere in "quattro giorni di mare"; negli anni '80 Lucio Dalla diceva che "ogni volta che mi tocca di venire mi prende allo stomaco, mi fa impazzire" ; Fossati , nei primi anni 90 la definiva " livida e sprofondata per sua stessa mano".
Fino ad allora non c'ero mai stato e vivevo nel preconcetto che fosse così come la descrivevano questi cantanti o peggio,quelli che ci avevano vissuto per lavoro all'Alfa o alla Pirelli,cioè triste,grigia,senza sole e senz'anima dedita solo a fare soldi.
Mi capita da qualche anno di andarci sempre più spesso,non sempre per vacanza,e imparo a conoscerla sempre un po' di più. Dopo le prime volte in cui indugiavo tra il Duomo,la Galleria e via Monte Napoleone, adesso,mi metto alla ricerca di quella Milano che esprime tutta la sua identità culturale e intellettuale:prendo la metro e scendo alla stazione Lanza della linea verde,esco e mi trovo al piccolo teatro Strelher, cammino per le viuzze eleganti e sobrie di Brera,fino alla pinacoteca e all'Accademia; mi imbatto in localini dove il moderno non ha soppiantato la tradizione,ne ha fatto tesoro; mi siedo in un bar all'aperto dove ottuagenarie signore vestite di tutto punto leggono il Corriere, all'ombra del caldo sole di luglio, affascinandomi;proseguo per via Moscova fino a piazza Gae Aulenti per ammirare prodezze urbanistiche che esaltano la grandezza dell'ingegno umano. Mi vien voglia di vedere il Giambellino, Rogoredo o Porta Romana, i posti cantati da Gaber e Jannacci anche se, come tutti i posti popolari temo abbiano perso la loro originale identità.
Non ho incontrato nessuno che non sia stato affabile o gentile.
Certo, non ha la luce di Roma, il cielo di Ortigia. Ma ci andrei a vivere.
Milàn l'è an gran Milàn!

28 giugno 2016

Canone inverso

Di nuovo al mare,dopo due anni,all'ombra precaria del mio ombrellone, insofferente, come sempre dopo un quarto d'ora di mare, non trovo di meglio da fare che guardarmi intorno con aria un po' impicciona.
Mi soffermo a pensare che mi trovo in uno dei posti più belli del mondo,ci vengono dal Giappone o dall'Australia per ammirarli,ma nessuno sembra esserne consapevole, tanto meno chi gestisce le istituzioni, in larga parte famelici ed incolti idioti,incapaci di avere e quindi di inculcare,un senso di rispetto per ciò che si è avuto la fortuna di godere.

Un senso di rispetto che possa permettere di creare le condizioni per un serio piano di sfruttamento turistico,privilegiando, per esempio le autostrade del mare che con un intelligente e condiviso servizio PUBBLICO di navette possa consentire una vivibilità,una godibilità ed una sostenibilità di quello che,mi ripeto, è uno dei posti più belli al mondo, la Costa d'Amalfi.

Invece,ci si trova invasi da milioni di auto che cercano inutilmente un parcheggio e che intasano quei borghetti ameni, dove lo smog, i clacson, la folla informe e a tratti impazzita sostituisce l'ammirazione, anzi la contemplazione di questi posti scelti dagli Dei. E tutto per un posto al sole!
Sulla spiaggia uno stuolo di uomini glabri ma barbuti,tutti tatuati,in compagnia di bambole gonfiabili con le zizze rifatte e unghie da strega variopinte che non disdegnano, però, all'ora di pranzo, di maneggiare pirofile pomodorose piene di parmigiana e pasta al forno che smascherano una identità popolare certamente più vera e autentica rispetto alla pacchianeria ostentata nella speranza di spacciarla per omologante "trendytudine"!!!
Mi sforzo di cercare qualcuno con la pancia come la mia (pure più piccola) o con un petto ordinatamente villoso,(ovviamente di una certa fascia d'età)...ho nostalgia di quella tanto denigrata cellulite che dava un senso di normale femminilità mediterranea alle donne. Mi guardo in giro... niente da fare! Maschi e femmine sembrano somigliarsi tutti. Tutti obbedienti agli stessi canoni estetici, fisici e comportamentali, ignorantemente accidiosi nell'indifferente accettazione di ciò che è stabilito per loro e per la loro pretenziosa ed ineducata prole.
Si odono sempre meno voci fuori dal coro.
Nessun canone inverso!

27 giugno 2016

La consapevolezza

Conquista dell’età adulta.
Si, infatti.
In gioventù del tutto assente, tranne che in pochi casi, perlopiù patologici.
Da giovani, da ragazzi si insegue la vita, non è mai notte e non è mai tardi; c’è la percezione che tutto sia possibile, che le distanze non esistano, che tutto il mondo ti sia amico; si condividono i problemi del mondo intero che diventano ragione di vita; uno per tutti e tutti per uno! C’è la convinzione che tutto quanto ci sia da fare. Da vedere, da visitare sarà prima o poi fatto, visto o visitato, con la percezione del tempo come di una entità infinita; si bruciano i vent'anni dietro ad estati interminabili, a notti infinite, a canzoni cantate, a film visti, a libri letti, a migliaia di volti che ti passano accanto senza che te ne accorga; ogni giorno cancella quello precedente, non ne lascia memoria o traccia, ogni nuova esperienza sostituisce quella precedente, senza che se ne faccia tesoro...
Insomma, la vita è semplicemente vissuta. 
Con le piccole pene d'amore, di amicizia e di studio che ti sembrano montagne insormontabili...
Ma la consapevolezza di ciò che si sta vivendo, no, quella non c’è.
Non appartiene alla giovinezza, c’è troppa frenesia e voglia di vivere, di gioire e godere per soffermarsi a riflettere su ciò che ci sta accadendo e sul senso che possa avere.
Poi, crescendo, si prende coscienza che la vita non è solo una festa a cui si è invitati per bere, mangiare e divertirsi:
Si prende coscienza che qualcuno dovrà alla fine lavare i piatti e rimettere tutto in ordine...
Si prende coscienza che prima c'era qualcuno che lo faceva.
Si prende coscienza che ora tocca a noi.
Si prende coscienza...
Eccola.
La consapevolezza.
È ciò che rende piena la vita, che dà un senso compiuto ed eterno ad ogni cosa che si fa, che si guarda, che si vive...
Ogni esperienza diventa rotonda, completa, assaporata e gustata...
D'altro canto, però ti fa fare i conti col dolore, con la sconfitta, te li fa toccare con mano, te li fa conoscere da vicino, dà ma ti dà anche gli strumenti per lottare, per combattere e per tornare ad alzarti.
Ti permette di considerare la vita per ciò che è.
Buio e luna piena.

22 maggio 2016

La luce dell'est

Torniamo a casa con ancora in fronte un rosso e tiepido sole barese.
Sono in autobus seduto di fianco all'autista, mi guardo dietro e vedo i volti stanchi e sereni di quanti hanno trascorso con me questa giornata.
Eravamo partiti presto stamattina alla volta di Matera.

Con la luce pallida e l'aria fresca del mattino ci eravamo spinti oltre gli Alburni, alla volta di quella città che da vergogna d'Italia è diventata patrimonio dell'umanità.

La cronica insufficienza di infrastrutture che caratterizza il nostro Sud ci aveva permesso di inoltrarci all'interno dell'aspro territorio lucano dove imponenti cime dominavano prati accarezzati dal vento e noi che come un baco in una mela ci inerpicavamo su per la vallata. 
Giungiamo a Matera col sole ormai alto, vengo rapito dall'azzurrità del cielo che contrastando con il giallo dei Sassi sprigiona una luce particolare che rende magico quel posto; la nostra guida che ci spiega ciò che vediamo e vuole convincere noi e lui della unicità di quanto stiamo guardando.Gli crediamo ed andiamo a pranzo in un locale all'interno dei Sassi.
Il convivio resta il momento più alto di aggregazione e di condivisione. È il posto in cui ognuno abbassa le proprie difese rispetto al proprio simile perché divide lo stesso destino, lo stesso desco, lo stesso pane.Ci si sente tutti "compagni" (cum panis) e si sta bene.
Ci dirigiamo,quindi,ancora più ad est,a Bari, dove nella Basilica del Santo arriviamo in tempo per incontrare un gruppo di pellegrini montenegrini di fede cristiana ortodossa che venerano lo stesso Santo che veneriamo noi.
Dopo un po' di stupore dei più, ci si convince che Dio è sempre lo stesso nel cuore di ognuno e.... meno aulicamente ci si passa sopra convenendo che il nostro San Nicola è di Tolentino!!!! 

Usciamo della Basilica e percorriamo qualche strada della città pullulante di gente e sempre in quella luce che al crepuscolo è ancora più intensa.
Scrivo qui, sul sedile di fianco all'autista... dietro di me sento i commenti sui posti visitati, sulla bontà dei piatti assaggiati e ...Peppe Lepre che cerca di spiegare qualcosa al suo casuale compagno di viaggio seduto accanto a lui.
È sceso il buio.
Un altro giorno è andato.

Un giorno ben vissuto.

11 maggio 2016

Le case chiuse

No,non mi riferisco a quelle che chiuse la legge Merlin negli anni '50, le cosiddette case di tolleranza... parlo delle nostre case, quelle chiuse alla gente, agli altri, a tutti gli altri eccetto che a noi; a quelle case,testimoni unici delle nostre gioie e delle nostre miserie,quelle che affacciandoci al balcone ci fanno avere "gli occhi sempre aperti sulle strade e chiusi sulla gente".
Temiamo il prossimo,litighiamo col vicino,non ci fidiamo più di nessuno.
Mio Nonno abitava nella casa che ora è il mio studio,vi si accedeva da una porticina a due ante sempre con la chiave nella toppa.
Ricordo che passava per il vicolo un vecchio zingaro con un'Ape Piaggio che vendeva e raccoglieva piccola ferraglia ed ogni volta che passava, entrava in casa e mio Nonno lo invitava a mangiare.
Lui si sedeva e mio Nonno gli preparava anche "l'acqua con le bolle" come diceva lui, versando la bustina di Idrolitina nella bottiglia dell'acqua.
Se stava male,un colpo nel muro e Mario, il suo vicino di casa accorreva a qualunque ora del giorno e della notte.
Queste case sono sparite da un pezzo e senza bisogno della legge Merlin.... sono state cancellate dal nostro individualismo, dal nostro bisogno di "privacy" insomma dal nostro non voler avere a che fare con nessuno, credendo di non aver bisogno di nessuno. Anzi,no... ne era rimasta una di queste case, una casa che resisteva al tempo ed all'egoismo. Era la casa di Gennarino e Maria.
Ci entravi da due o tre porte diverse... ci entrava chiunque e chiunque poteva sedersi intorno al grande tavolo rettangolare e sentirsi a casa propria; potevi andarci a cuocere le pastiere di grano.... anche se non avevi il grano,o i biscotti, chiedere in prestito un tino, il torchio,potevi andare a farci il tuo vino... anche se dimenticavi di portare l'uva. Per noi parenti, poi, quella era la nostre casa comuneLa casa di Gennarino e Maria.
Quando Lui troppo presto è andato via,Lei ha tenuto aperta quella casa che ha continuato ad essere il riferimento per molti. Adesso se n'è andata anche Lei.
E con Lei anche quest'ultima casa aperta si chiuderà. Non che i figli siano diversi o meno generosi,no... non è questo. Sento che si è chiusa rispetto a quel passato che fino ad ora non era del tutto passato, rispetto alle condivisioni ed alle vicende di una grande famiglia allargata, ad un modo ormai desueto di vivere la vita. Ognuno ha nel profondo della propria anima un suo piccolo mondo antico fatto di luoghi,di figure,di immagini... quando la vita lo impoverisce ci si sente sempre un po' più soli.

2 marzo 2016

Vitti 'na crozza

Papà compie ottant'anni. Sono tanti, anche se non moltissimi al giorno d'oggi.
Fanno percepire, come ha detto lui nel suo post, che ci si sta mettendo in dirittura d'arrivo.
Ci penso e mi rattristo. Ho pensato di non voler scrivere nulla per questa ricorrenza per non sembrare retorico, melenso o banalmente ovvio. Ci penso da stamattina.Adesso,invece,ho deciso di scrivere. L'ho deciso perché è bello dire le cose che si pensano e che si sentono a chi le si vuol dire,senza mediazioni,senza compromessi con il proprio pudore, senza il retaggio dell' uomo duro e risoluto che tiene per sé le emozioni e gode e soffre in silenzio. Non sono mai stato quel tipo di uomo. E allora scrivo. Scrivo di mio padre. 
Senza scrivere nulla perché non c’è nulla che non gli abbia già detto.
Scrivo solo per dire di quanto lo abbia amato di più quando mi sono accorto delle sue debolezze, delle sue paure di quanto lo abbia stimato di più quando ho scoperto la gentilezza d'animo e la dolcezza che gli leggo nello sguardo e che una volta non riuscivo a cogliere.
Scrivo di lui e lo canto adesso che c’è, che mi sente, che mi vede e che mi legge. Come ha fatto lui con me che mi ha dato ciò che mi ha dato quando mi serviva e non quando non avrei saputo più cosa farmene.
Ho intitolato questo post "Vitti 'na crozza" è il titolo della più celebre canzone popolare siciliana. Letteralmente significa " Vidi un teschio"
Ho voluto intitolarlo così perché questa canzone parla tra l'altro, di un uomo di ottant'anni che si lamenta del fatto che "vita chiammai e morti m'arrispunni" volendo dire che vede nel teschio il suo futuro prossimo.
Papà legge tutto il giornale tutte le mattine, finisce tutta la settimana enigmistica, è un ottimo giocatore di bocce, di tressette e di scopone (molto meglio di me), mi aiuta ancora molto nel lavoro, è iscritto a fb.
La vita l'ha vissuta,non gli è passata addosso.
Quel teschio è ancoro lontano.
Almeno è quello che ti auguro e che spero.
Auguri Papà.

13 gennaio 2016

Sempre e per sempre

Mi capita spesso, sempre più spesso, di pensare a ciò che è stato, a ciò che mi è passato accanto, a ciò che sono e che sono stato.
Forse dipenderà dal fatto che ho superato i 50... ma non credo… ci ho sempre pensato,solo che adesso lo faccio più intensamente. Comunque sia, non lo so e non mi importa. Quello che conta è che ci penso.
Il pensarci mi provoca le più disparate sensazioni... sensazioni che cambiano veloci come il tempo di marzo e lasciano la mente ubriaca di immagini, di momenti, di esperienze… di Gente. È volutamente maiuscola quella G.
Si, perché a qualunque luogo, a qualunque momento, a qualsiasi esperienza io possa riferirmi non riesco a dare loro un senso se non li associo alla Gente con cui li ho condivisi.
È la Gente che ho incontrato che mi ha reso,in un modo o nell'altro,quel che sono e se ciò che mi capita e che vivo quotidianamente non rappresenta il pretesto per incontrare, conoscere e condividere qualcosa con qualcuno,ritengo non abbia alcun senso.
È la vita intera,se allargo il concetto,a non avere senso se non insieme agli altri,se non comunicando agli altri,se non ricevendo dagli altri,se prescindendo dagli altri.
Penso a quanta Gente ho incontrato nella mia vita,a quanta me ne è sfuggita... penso anche a quanta ancora ne incontrerò... a quanta strada avrò ancora da fare ed alla bellezza ed alla fatica di quella strada che immagino cosparsa di cose da fare,da imparare,di pensieri da comprendere,di emozioni da vivere,di momenti da condividere.
Penso a una parte di quella Gente che ho incontrato... che mi sembra… di aver incontrato,ma che in fondo so che era lì... lì ad aspettarmi, come "i fiori o l' erba di scarpata ferroviaria",... che è stata sempre lì... per me e con me,ad aspettarmi ed io con loro, che ha dentro la stessa vita, lo stesso amore, ora come allora. Che il sole o la pioggia non sono riusciti a scalfire.
Sempre e per sempre.

3 gennaio 2016

L' ignorantità

Inconsapevole ed antico neologismo (mi si perdoni l’ossimoro) con cui si è creato un nuovo sostantivo relativo al verbo ignorare rispetto a quello corretto che come tutti sanno (eccetto gli ignoranti) è "ignoranza". 
Antico perché coniato dai nostri ineruditi nonni ed usato al posto di "ignoranza" ; inconsapevole poiché nell'errore,hanno creato un termine veramente nuovo e rivoluzionario che ha dato un'accezione diversa rispetto a ciò che si può definire con il termine ignoranza.Con tale termine,infatti,(fonte Treccani) si intende l'ignorare determinate cose per non essersene mai occupati o più comunemente, la condizione di chi è privo d'istruzione.
Ed ecco,allora,che non temo di essere smentito da nessuno ed al contempo sono certo di non offendere nessuno affermando che siamo tutti ignoranti e che la cosa che ci differenzia è che non tutti ignoriamo le stesse cose. L'ignoranza è quindi un male comune.
E l'ignorantità ?Che cosa è l'ignorantità. 
È quella condizione in cui versa chi (normalmente) è affetto dall'ignoranza come prima definita, cui si associa sempre quella chiusura mentale strutturale (o anche strumentale) e grettezza d'animo solitamente accompagnata da una certa impermeabilità ai fremiti culturali.
Tutto ciò determina nel soggetto che ne è affetto,una grande difficoltà di muoversi dalle proprie posizioni o convincimenti ed una incapacità di comprendere il pensiero,il comportamento e le ragioni altrui. Ciò condurrà inevitabilmente al dissidio ed al litigio anche per futili ragioni. 
Volendo trovare una similitudine nel mondo animale,ignoranza e ignorantità possono essere paragonati all'asino e al mulo.Immaginiamoli di fronte ad un ostacolo che ne impedisce il cammino: sono entrambi ignoranti poiché non conoscono altra strada,ma possiamo star certi che l'asino cercherà un percorso alternativo mentre il mulo continuerà "ad libitum" a sbattere il muso contro l'ostacolo fino a romperselo.
L'asino è affetto da ignoranza (ciuccio). Il mulo è affetto da ignorantità. Auguriamoci, di essere e di incontrare lungo il nostro cammino sempre asini e mai muli!
Mi piace chiudere con una citazione popolare e dialettale che,ritengo,sia utile a riassumere il tutto:
" 'o dritto 'o fai fess' ... 'o 'gnurant' nun 'o fai capace !!! "