30 settembre 2012

Le 10 tesi del Comitato

Cari amici vi anticipo che tra qualche giorno sarà affisso un manifesto che chiarirà in modo schematico e semplice alcune delle motivazioni che ci fanno propendere per il no a questo pasticciato progetto di fusione. 
Con questo manifesto verrà ufficializzata la costituzione del nostro comitato con l'invito ad iscriversi. 
L' iscrizione (ovviamente gratuita) di molte persone avrà' il compito di programmare tutta l'attività di informazione dei cittadini ora, e di organizzare la campagna referendaria quando sara' il momento. 
Chiedo a tutti voi che avete univocamente espresso la vostra opinione di contrarietà a questa fusione di continuare questo dialogo virtuale ma alla stesso tempo di incontrarci de "visu" per le ragioni che ho appena esposto. 
Mobilitiamoci e svegliamo le coscienza!!! Quelli che sono per il si in modo strumentale e subdolo hanno tutto l'interesse ad addormentare la discussione.
NON CONSENTIAMOLO!!!

Capponi di Montoro ?

Se non ci facciamo sentire noi, la discussione sulla fusione latita.
Da nessuna parte (ovviamente da quella per il si) viene data notizia alla popolazione di che cosa si stia muovendo nelle "alte sfere", se il referendum si farà , quando si farà , (soprattutto perché si farà ).
Siamo stati in silenzio per una settimana proprio per dimostrare che i nostri Comuni sono ripiombati nel solito stato di indolenza, di pigrizia intellettuale, di torpore sempre più assimilabile ad un letargo.
Ecco è proprio cosi' che i poteri forti, che i poteri belli, che i poteri potenti, alimentati solo dalla loro inutile prosopopea, ci vogliono.
Come dei grossi e grassi "caponi" natalizi cui far credere, con la complicità della letargia, tutto quello che vogliono per ottenere cosi' ciò che sperano.
Noi non lo consentiremo!
Il nostro movimento di pensiero è e resterà un baluardo a salvaguardia della democrazia attraverso il coinvolgimento nella discussione di un numero sempre crescente di amici, che parleranno ai loro amici e questi altri ai loro.

29 settembre 2012

Sto scrivendo da via Risorgimento...

seduto sull'uscio del negozio di salumeria del mio amico Nicola ed ascolto inebetito ed impotente l'inutile ed idiota frastuono di queste altrettanto inutili pseudo automobili che di Ferrari portano solo il nome,essendo perlopiù ' catorci immondi che vorrebbero essere uno status simbol, ma che novecento sono, nelle maggior parte dei casi la voglia irrealizzata di sentirsi cio' che di fatto non si e'. La cosa piu' grave, oltre alla messa a soqquadro dell'intero paese di Piano, e' stata la processione degli alunni della scuola media e dei loro insegnanti (?) per vedere l' esibizione e della velocità', dello spreco, della voglia di ricchezza e di esaltazione,della voglia di sentirsi diversi dagli altri non per cio' che si puo' imparare ma per cio' che si puo' possedere! Ci avviamo a creare un' altra generazione di Franco Fiorito come se la nostra non fosse bastata!

27 settembre 2012

Una festa per la gente


Anche quest’anno ho girato le feste di paese in lungo e in largo, e mi sono stancata. Non ne posso più di vuote baldorie e di un generale effetto accozzaglia dietro cui, come sempre, dominano mancanza di tradizione e di buon gusto. Non ne posso più dell’ipocrisia dei gusti comuni, dell’avidità onnivora del brutto, di persone troppo ordinarie e, tuttavia, imprevedibili come scarafaggi.
Resto al mio paese, dove ricevo una bella sorpresa di fine estate. Festa patronale di S. Nicola da Tolentino: c’è aria di cambiamento, e sento che mi piacerà. Me ne accorgo da un manifesto che, giorni prima, leggo per caso affisso ai muri.
Quest’anno, a Montoro Inferiore, la festa è stata per il paese, senza fasti, senza farse. E’ cambiato il Comitato, costituito da soli undici membri, di cui cinque con meno di trent’anni, diretto dal Presidente delegato Mimmo Torello. Chi lo conosce lo stima per la sua schiettezza e, mai come in questa occasione, per il coraggio delle proprie scelte. E la scelta, stavolta, come ha lui stesso ribadito, è stata non di portare gente alla festa, ma la festa tra la gente. Piccolo spostamento di parole, grande innovazione per il luogo. Il motivo è chiaro a tutti. Un tempo, la tradizione religiosa era fondata su riti e credenze nutrite da sentimenti condivisi. Oggi, nei paesi come nelle città, la gente rumina la fibra di un rito che non significa più niente perché nessuno ne ricorda più l’origine e il significato. Alla tradizione fondata sulla ripetizione si è sostituita la coazione a ripetere. Risultato: le feste comandate sono diventate un tema osceno che non riesce a dirci più niente sull’essenza delle cose. Le processioni e soprattutto le chiese, mai come in questi giorni, si riempiono di una varietà di ipocrisie disarmanti. Tutti scambiano un segno di pace solo con quelli con cui non hanno mai litigato. La sera serve per sfoggiare nuovi tagli e griffes false, finti mariti e nuovi amanti, piedi scalzi senza penitenza. I devoti non-credenti si trascinano nella polvere della vita, tentando un decollo verso il Paradiso che non sempre arriva. Sono i bugiardi, i superficiali, i maleducati, gli ipocriti; quelli senza curiosità, consapevolezza né memoria, incapaci di dolore come di allegria. Quelli buoni solo per le derive del disfattismo e dell’ ignavia.
In tempi di crisi e di insicurezza collettiva, serve a poco stordirsi nelle crapule dei commerci, nel circo di masse che affluiscono nei nostri paesi senza sapere niente, in fondo, del posto in cui vengono, del Santo che si celebra. Perché alla gente piace il chiasso, il cantante famoso, facce nuove da criticare. Serve trovare per le vie del corso una succursale del mercato settimanale dove, a stretto giro, trovi lo stand delle pentole e degli articoli per la casa, quello delle scarpe e della ferramenta, e poi ancora il banchetto con i gadgets di Padre Pio con carillon incorporato, persino quelli catarifrangenti per chi, persosi nel buio della Vita, volesse ritrovare la retta via. 
Ed invece, proprio in tempi di crisi, occorrerebbe riappropriarsi dei luoghi e delle piazze, riflettere sul senso della festa; recuperare la tradizione religiosa che è e deve restare il centro dei festeggiamenti, non il pretesto marginale, come pure accade da troppo tempo. Incontrare i cittadini di una comunità, valorizzare i talenti locali in uno spirito di semplicità umile e condivisa, ritrovare insomma il senso di un’allegria fatta, come il pane, di pochi ingredienti. Questa è stata la scelta di Mimmo Torello e del Comitato Festa, attuata in un programma variegato che ha animato i 4 giorni di celebrazioni. A Montoro, quest’anno, si poteva finalmente passeggiare con calma, salutare gli amici senza essere distratti dal prossimo orrore di turno. Poetiche le luminarie nella loro semplicità. La piazza sembrava da lontano un dipinto fiammingo, coi suoi colori caldi ed una quantità di gente riunita a divertirsi, nel fervore di una ritrovata lingua comune. I giochi a squadre, l’effervescente entusiasmo di bimbi, anziani e famiglie stupiti dinanzi ai mimi, ai funamboli, agli artisti di strada che popolavano via Roma. E poi lo spettacolo dei burattini nella Villa Comunale, i giochi gonfiabili che hanno creato nel cuore della piazza un luogo incantato mai visto prima da queste parti. Ed ancora la serata dedicata ai giovani, presentata da Rosalba Teodosio, iniziata con l’esibizione della “Sanità Ensamble”, la giovane orchestra organizzata e finanziata dall’Associazione Onlus “L’altra Napoli” che, diretta da Maurizio Baratta, raccoglie i ragazzi del quartiere Sanità di Napoli, per restituire loro una possibilità di riscatto attraverso l’impegno artistico. Di seguito, lo spettacolo dei talenti montoresi. Io non conoscevo questi ragazzi, che pure vivono in paese. Forse li avrò visti una volta sola, quand’erano piccoli. Ed eccoli ora sul palco. Sono giovani che, in una congiuntura generale che sembra favorire più l’accidia della resa che il coraggio della svolta, studiano danza, musica, canto, dedicando gli anni migliori ad un progetto futuro fatto di qualità e sacrificio. Ed infine l’ultima serata in cui, invece del cantante famoso, o di quello che campa da 40 anni con l’unica canzonetta che gli sia mai riuscita nella vita, il palco ha visto l’esibizione della tradizione canora campana, interpretata dal Nausicaa Acustic Quintet, dal Coro polifonico dei “Laeti Cantores”, dalla macchietta napoletana di Mario Spolidoro e Gabriele D’Antonio, dai canti e dalle danze della cultura popolare, messe in scena dai Castellani di Giovi.
La festa è piaciuta, a chi più e a chi meno, come al solito. Che la comunità locale sia pronta a questo genere di feste è da vedere nel tempo. Novità? Non direi. Qui si tratta invece proprio di riabituarsi al passato, a quello che le feste erano quando nei Santi si credeva davvero. Il fatto è che la gente ama la chiacchiera senza racconto, la preghiera a cantilena, lo spettacolo kitsch. Non è abituata, purtroppo, ai tacchi bassi e agli abiti semplici (parlo per via di metafora). Anche chi veste ogni giorno abiti fin troppo semplici (continuo a parlare per via di metafora), quando arriva il giorno della festa vuole l’abito di raso e la scarpa coi “berlocchi”, anche se l’abito gli cade male, e sui tacchi non ci sa camminare. Sarebbe forse più onesto capire che i tempi sono cambiati, che una festa di paese in ogni caso non risolve i problemi di una comunità, che non serve né a sembrare migliori né a credere che il proprio sia un luogo felice. Molto c’è da fare. Occorre allenare uno spirito nuovo. Basta, per esempio, con la critica cattiva di chi nella vita sporca i successi degli altri per lenire le ferite dei propri fallimenti. Ma questo, in genere, è il problema di un Sud che non sa vivere senza lamentele, senza appigli per la recriminazione, senza l’elogio dell’impotenza. 
Occorre invece accogliere con disponibilità i cambiamenti, e soprattutto il coraggio di chi, come Mimmo Torello, ha saputo esporsi, proporre una svolta, rimboccandosi le maniche, persino scendendo sul campo, sistemando le sedie in piazza, aiutando gli allestitori con l’umiltà e l’entusiasmo di chi ama sinceramente la sua terra.
Poi, dopo gli spari di mezzanotte, tutte le feste finiscono. Ecco un solco appena scavato, la fatica felice, la gioia del risultato, un buon seme in una terra nuova. Non resta che aspettare i frutti, che servono a tutti noi per una stagione nuova.
                                                                                                            di Eliana Petrizzi