Stretto, così stretto, da trattenere a stento un travaso di bile.
Sono ormai due ore che viaggio e non ho sentito
fiatare nessuno se non due ragazze, presumibilmente colleghe di lavoro, che si
sono sedute a fianco a noi, ovviamente senza salutare ne' quando si sono sedute
ne' quando si sono alzate come se non ci fosse nessuno e parlando del loro
lavoro tutto.
Il tempo.
Per il resto, un silenzio tombale rotto solo dagli
squilli dei telefonini i quali sembrano voler testimoniare la loro antica
vocazione, cioè quella di avvicinare, agevolare i rapporti umani, non quella di
allontanarli al punto da renderli inesistenti e creare il senso di alienazione
di cui è affetta la nostra società "civile".
E pensare che solo domenica sono stato a Napoli per
andare a vedere il capolavoro di Caravaggio esposto al Monte di Pietà, ai
Tribunali, per intenderci: le sette opere di misericordia.
Sono passato per porta Nolana, lambendo Forcella,
mi sono mescolato alla folla colorata e chiassosa del mercato che c'era lì, in
mezzo a strilloni che vendevano e che compravano, attraverso la "normale
illegalità " dei venditori di sigarette di contrabbando, tra pescivendoli
puzzolenti che giuravano sulla freschezza del loro pesce più puzzolente di loro
mentre la signora della bancarella di fronte generava sincera ilarità tra i
passanti aggiungendo che i pesci avevano la stessa età del pescivendolo.
Insomma, ho respirato sprazzi di umanità che non
sentivo da tempo, neanche lì, a Napoli, che stereotipi e luoghi comuni hanno
sempre immaginato così.
Arrivo al Museo, entro e resto inebetito davanti al
genio di Caravaggio che appena arrivato a Napoli dipinge "le sette opere
di misericordia" che aldilà dei riferimenti evangelici è stato il
pretesto, secondo me, per descrivere, con il suo realismo, quello che aveva
visto appena arrivato a Napoli, ha fatto, cioè, il riassunto di quello che
aveva colto di Napoli: una città devastata dalla fame, dall'ingiustizia
sociale, dal sopruso del potere, ma capace di continue opere di misericordia!
Poi torni alla realtà, quella fatta di uomini
inseriti, di gente impegnata a costruire il suo nulla con nessuno, a illudersi
di vivere, certa com'è di poter prescindere da tutti gli altri appena non sono
più funzionali alla creazione ed al consolidamento della propria assurda
esistenza.
La irrazionalità della vita così come concepita,
che solo di fronte ad un trauma, ad un dolore, o alla percezione della fine di
tutto sembra gridare un senso, genera l'uomo assurdo, che conduce una vita
assurda e che non trova più la percezione di sé, di ciò che sta facendo, di
ciò che sta costruendo (o meglio, distruggendo),un uomo sempre più distante
dalla sua natura, dalla sua umanità, che non ha più neanche il retaggio della
misericordia.
Sento suonare un telefonino. Chissà che non ricordi a qualcuno che, in fondo, è ancora vivo!
Sento suonare un telefonino. Chissà che non ricordi a qualcuno che, in fondo, è ancora vivo!