24 dicembre 2019

Novena...ri di Natale

È venuto n’atu Natale
oggi ‘a ggente meglio me pare
l’amico è comm’ ‘o scanusciuto
oggi nisciuno pigli’ ‘acito!

Ô niro, ô janco, ô musulmano
ô muorto ‘e famma, ô disperato
a tutte mó se dà na mano
senz’abbarà a chi ha pavato

Vurrìa ca fosse sempe ‘o stesso
ma na vota ch’ è asciuta ‘a Messa
ognuna abbara sul’ a isso

Salute a parte, amice carede
l’augurio mio è, a ffinàle
c’ogni gghiurno fosse Natale!

11 novembre 2019

Aisséra

Che dummeneca trist’e chiagnulenta
nun ce sta n’anema mmiez’ a sta via,
traso int’ ‘o bar, ma resto malamente
pecché una vocia sento: ‘a mia.

nun se sente cchiú ‘e rider’ e alluccà,
p’ ‘a scopa,p’ ‘o bigliardo,’o tre a chiamà
tutt’  è cagnato mó, è n’ato munno
e sento ‘a nustalgia pe’chillo ‘e tanno

ma d’ ‘e penziere mie m’alluntano,
fore, a via ‘nfosa pare stramana
ummeta, scura,senza nu cristiano

me sento furastiero â casa mia
scanusciuta me pare chesta via
sperza ce cammina l’anema mia

6 ottobre 2019

Pensieri d’ottobre

Seduto su di uno scalino della Chiesa a contemplare il silenzio immobile e cheto di quel che resta di questa domenica d’autunno.
Il cielo divenuto repentinamente plumbeo sembra confliggere col tepore del crepuscolo.
Di fronte a me le panchine della piazza abbandonate e sole e tutto intorno un tappeto di foglie ormai stanche...
il silenzio è rotto solo da un’auto che passa lenta...
in lontananza la sagoma senza contorni di uno che cammina.

Osservo e il mio pensiero si perde.
A cosa sto pensando mi chiede il social che sto usando.
Che cosa gli rispondo?
Come faccio a spiegargli le sensazioni tenere e melanconiche che mi suscitano questa atmosfera neutra e indefinita?
Sono qui, seduto da solo sul gradino.
sento lontani  gli  affanni di questa vita inutilmente veloce e compulsiva che non mi piace, che non mi interessa...
Sono sempre qui, da solo e felice di esserlo perché posso ascoltare il silenzio e la pace ritrovata delle cose intorno a me...
la sento dentro di me
la sento permeare e rasserenare l’anima mia inquieta...

6 settembre 2019

Luoghi comuni


La piazza del mio paese dove riunirsi per giocare senza giochi,da bambini, per discutere di ogni accadimento,da grandi e per incontrasi ancora da vecchi;
La sezione del partito dove sognare di costruire un futuro per tutti;
Il fuoco del camino dove ascoltare i racconti dei vecchi;
Il campeggio che per duemila lire al giorno offriva mare e gente di ogni dove con cui confrontarsi;
Il bar di zio Pietro  dove si poteva stare anche tutto il giorno a guardar giocare a carte o a biliardo; ad ascoltare le false imprese di sfaccendati e bugiardi cronici, perché più che un bar era un presidio sociale;
La littorina che portava a scuola, a Salerno , che faceva divertire e rendeva tutti uguali.
Si...
La so che state pensando che “luoghi comuni” significa altro, come per esempio, che non esistono più le mezze stagioni o che i napoletani mangiano la pizza e suonano Il mandolino....
Si, lo so...
Ma è di quelli che ho nostalgia

5 settembre 2019

Pe’ ll’aria


Ê vvote guardo ncielo pe’ pruva’
si riesco a te vede’
si, pe’ caso, na nuvola t’arrassumigliasse
si nu sciato d’ ‘o viento tenesse ‘a vocia toia...
Niente
Nun vedo e nun sento niente.

Sento sulo ‘o vvacante dint’ ‘o core,
‘o stesso ‘e tanno...

Ma penzo ca stai llà
Pe’ ll’aria
ca stai passiànno e arraggiunànno cu De André, cu Pasolini, cu Camilleri...

Penzo ca stai llà
Pe’ ll’aria
vicino a me, a nuie
e a chilli ca hê vuluto bene.

Il riso

Non c’è sentimento o intelligenza che tenga.
Quello che ci distingue dagli altri animali e’ il riso.
È una nostra prerogativa...di noi esseri umani.
Che si tratti di quello amaro, di quello sarcastico, di quello ebete, di quello ironico, di quello isterico... resta il fatto che lo abbiamo.
Ma non lo abbiamo semplicemente... ci appartiene!
Noto, andando avanti , che il riso, il nostro riso, ci segue, segue la nostra strada, cresce e muta con noi.
Dapprima è una risata allegra e spensierata, grassa e contagiosa, poi diventa riso, quello più contenuto, consapevole, sempre più difficilmente sguaiato o liberatorio, per declinare, poi, in un delicato, dolce e nel migliore dei casi, sereno sorriso...
Raramente il percorso è diverso, anzi, al contrario,  a volte le sue mutazioni sono più repentine e precoci...
Il riso ha pure un alleato, un grande alleato: gli occhi.
È da lì, dall'osservazione degli occhi mentre si ride che ci si persuade della verità del riso, perché devono ridere anche loro.
Se così non è, il riso è forzato, non è autentico, è finto, è un riso che vuole convincere o rassicurare gli altri della propria allegria o serenità ma non è quello che fa stare bene noi stessi.
Abbiamo bisogno del riso autentico, quello delle labbra, degli occhi e dello spirito se è vero, come è vero, che gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Ma nonostante il bisogno da soddisfare, il riso rimane la risultante di una condizione generale di benessere, non lo si può cercare se non lo si ha già dentro, se non si posseggono già le condizioni che possano generarlo...
Se non le si hanno o se le si sono perdute, il riso si spegne e lascia il posto alla disillusione ....quella che non permette più di stupirsi, di immaginare, di sognare e di pensare che una soluzione c’è ancora... ci dev'essere ancora... per forza!
Si viva, allora, affinché quel riso  che abbiamo avuto in dote fin dalla nascita e che la vita ci consuma poco a poco, possiamo rigenerarlo, creando e cercando bellezza e amore  dentro e intorno a noi e si continui, così,  a ridere o a sorridere per le cose belle che ci capiteranno, piccole o grandi che siano  e che ci dovranno ancora  stupire e meravigliare come bambini davanti al cappello del prestigiatore!
Se così non sarà...
ci sarà ben poco da ridere...

24 febbraio 2019

Cronaca di un giorno felice

Sono stato a Napoli ieri con alcuni cari amici che con me stanno facendo quella meravigliosa esperienza che è il Master sulla Canzone Napoletana, ideato da quel “gigante” che è il Maestro Pasquale Scialò e che oltre alle interessantissime discipline ha avuto altri meriti forse neanche immaginati, quello di creare rapporti umani nuovi e veri, di svelare l’esistenza di mondi inesplorati, di vivere esperienze inconsuete, di provare sensazioni ed emozioni tanto più esaltanti in quanto condivise, insomma è stato ed è, almeno per me, ma sono certo, anche per gli altri, un’occasione per allargare lo sguardo, per aprire cassetti chiusi, o per scoprirne di nuovi.
Siamo stati a Napoli, dicevo, per andare a salutare il Maestro Poeta Salvatore Palomba, che avevamo conosciuto perché al Master aveva trattato della grammatica e sintassi della lingua napoletana.
Siamo arrivati a casa sua con un presente per l’anima ( degli spartiti di inizio secolo scorso) ed uno per il corpo( un vassoio di sfogliatelle ricce e frolle) ; ci ha accolti come un nonno i nipoti, ci fatto entrare dentro le sue poesie, nei sui ricordi, nella sua anima tenera e delicata, ha letto per noi e ci ha regalato, con dedica, un suo libro di poesie.
Ci siamo lasciati con la promessa di vederci ancora lì per respirare di nuovo quell'aria intrisa di arte, di cultura, di bellezza.
Dopo la meritata pizza abbiamo raggiunto Piazza dei Martiri dove il Maestro Scialò aveva organizzato un incontro con Francesco De Gregori in occasione dell’uscita del suo nuovo disco, una sua interpretazione di “Anema e core”.
Una introduzione colta e puntuale di Scialò ed una un po’ meno di De Gregori che almeno non è stato antipatico, come gli capita spesso in pubblico.
Gli va dato merito, però, insieme a Scialò, di aver ridato vigore, con questo disco, alla canzone napoletana d’autore, a far comprendere al grande pubblico che la canzone napoletana non è solo rap, trap o neo melodici ed a noi tutti di tornare ad essere orgogliosi del nostro idioma e del nostro immenso patrimonio culturale di cui, spero, riusciremo a riappropriarci.
Dopo l’ennesimo caffè, salutata la nostra amica romana, infreddoliti ma felici, ci siamo rimessi in auto con l’allegria e la spensieratezza dei compagni di scuola in gita scolastica e la mente e il cuore gonfi di felicità e della consapevolezza di aver trascorso un giorno felice!
Se una donna ti fa capire di starci ma tu fingi di non accorgertene, difficilmente potrai avere con lei un flirt.
Se non ti lanci contro un’auto che viene di corsa ma stai sul marciapiede, è improbabile che tu muoia investito.
Mia nonna diceva: “ ‘a morte va truvanno‘ accasione” cioè la morte aspetta il pretesto per venire a prenderti, quindi non darglielo!
E la vita?
La vita è la bella ragazza che ti tenta, è l’auto che passa di corsa, o meglio il treno che passa e rallenta per farti salire.
Anche la vita vuole l’occasione...anzi te la dà ...per mangiare non per nutrirsi, per leggere non per farsi raccontare, per sognare non per dormire, per lottare non per accontentarsi ...insomma... per vivere!


12 gennaio 2019

Povero Faber


"Godetevi il successo, godete finché dura,che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe (...)"
Si, queste di Guccini, tratte dal Cirano, mi sono sembrate le parole più adatte per sintetizzare lo spettacolo cui ho assistito ieri sera al Teatro Augusteo di Salerno. Uno spettacolo gratuito organizzato da un'associazione meritoria, su Fabrizio De André in occasione del ventesimo anno dalla sua scomparsa.
La locandina pubblicizzava l'evento e annunciava la presenza di Carlo Ghirlandato , tra i più fedeli esecutori delle canzoni di De André e di Michele Ascolese, chitarrista di Faber dal 1990 in poi.
Con entusiasmo prenoto per me e per degli amici e ci vado.

Prendiamo posto, si spengono le luci ed entra un violinista che introduce la serata e soprattutto il famoso Recitativo tratto dall'album "Tutti morimmo a stento". Ottimo inizio, penso, la serata si preannuncia molto interessante...mentre il violino suona entra una signorina bionda, di nero vestita e comincia a declamare il testo del Recitativo (2 invocazioni e 1 atto di accusa, si badi ! ) con un sorriso ebete e fastidioso che lasciava intendere che non avesse affatto compreso cosa stesse leggendo...
Bah... ho pensato... una giovane attrice più preoccupata di leggere bene che altro...
Entra poi il cantante , si siede, blatera qualche parola e comincia a suonare (male) un medley di canzoni con una voce scimmiottante quella di Faber con la cui voce ha in comune solo un il timbro baritonale. Vabbè, questo è il cantante, mi dico, ... non sarà un musicista... adesso che entrerà il musicista vero, Ascolese, riporrà la chitarra e canterà meglio. Entra il musicista ed il cantante ignorando la buona regola non scritta dell' "Ubi maior" suona con lui.
Primo pezzo:il cantante suona La Ballata del Michè e Ascolese suona La Città vecchia.Imbarazzo... scusate... la scaletta... l'ho vista male,si giustifica il chitarrista. Cominciano a suonare... e comincia, quindi, lo spettacolo vero.
Il cantante continua a cantare e a suonare per conto suo, spesso fuori tempo,a mio modestissimo avviso,sbaglia molti accordi, dimentica o sbaglia le parole e mai in armonia con il chitarrista che sembra suonare altro.... Ascolese se ne accorge e più volte spiega che in pratica non hanno provato.
Oltre a ciò ...l'impianto audio è approssimativo. Più che un concerto, sembrava un Jam Session (per i non esperti di musica,un incontro occasionale di musicisti che si mettono a suonare e si divertono senza nulla di preordinato).
Pure a me,a casa mia,vicino al fuoco,è capitato di suonare la chitarra insieme a Peppe Palladino e a Raffaele Cardone... o a Matteo Cantarella.
Ma rigorosamente a casa mia e vicino al camino, con un bicchiere di vino sul tavolino.
Quando mi è capitato di salire su un palco con loro, per la sopra citata regola dell' ubi maior... non mi sono mai azzardato ad imbracciarla,la chitarra. Invece,tornando alle parole di Guccini, questa gente facendo leva sulla propria fama (vera o presunta) non ha ritenuto il sottoscritto ed altre 500/600 persone meritevoli di uno spettacolo preparato con un poco di impegno e serietà offendendo, chi, come me e molti altri presenti in sala, presumo,amano e conoscono bene, molto bene De André, facendo presa solo sulla parte di pubblico meno attenta e meno esperta di canto, musica e poesia, insomma, mi sia consentito, meno colta e che per ciò applaudiva a più non posso le imbarazzanti esecuzioni di quell'improvvisato duo.
Ecco.Il pubblico ammaestrato da una parte... e il ghigno e l'ignoranza dei primi della classe dall'altra...
Fabrizio De André merita altri interpreti, altri musicisti,altra gente che se ne occupi e che lo sappia ricordare, che ne sappia comunicare soprattutto a chi non lo ha conosciuto o a chi non lo conosce:la poetica,la continua ricerca di una spiegazione,di un senso,la voglia inevasa di un Dio ed il rispetto per un Cristo uomo... il modo gentile con cui ha fatto morire Marinella, il dolore per la condanna a morte di Geordie, il ripudio della guerra che uccise Piero, la considerazione e mai la commiserazione per i derelitti e gli ultimi, la grazia e l'amore per la donna,il disprezzo per la vanità.
De André mi ha insegnato ad essere un uomo migliore.
A ciò deve servire conoscerlo, non a servirsene.