29 luglio 2018

Dialetto e cultura


Quando da ragazzi ci si innamorava, si era così felici che si voleva far partecipe tutto il mondo di quella felicità, la si voleva raccontare e condividere con tutti.
Per me è stato sempre così anche da adulto... anche adesso...
Mi sono sempre innamorato di tutto.
Il mio ultimo amore è un... pardon... IL MASTER sulla Canzone Napoletana che sto frequentando al Conservatorio di Salerno.
Me ne sono innamorato subito.
Merito dei docenti e precipuamente del coordinatore, maestro Pasquale Scialò, dei compagni di viaggio, colti, intelligenti, sensibili e malati di conoscenza, ma soprattutto dell’oggetto del Master:
LA CANZONE NAPOLETANA!

Non sembri riduttivo e banale, amici, non lo è per nulla, anzi.
La canzone napoletana, così semplice, scontata, anche abusata e da molti ritenuta (anche a ragione) buona per passare una serata tra amici, racchiude in se’ una musica di fattura sopraffina, una poesia di struggente idillio, di reale disincanto o di dolore esistenziale poggiata su costruzioni formali ed esattezze e finezze sintattiche e metriche tal da renderla un autentico capolavoro.
IL TUTTO IN UNO SPLENDIDO DIALETTO NAPOLETANO!!!
Uno dei moduli del Master è proprio lo studio del dialetto napoletano o lingua se si vuole, la fonetica, la grammatica, la sintassi.
Ho scoperto (già lo sospettavo) che il dialetto napoletano (patrimonio UNESCO dal 2014) non è per nulla un modo grossolano o deteriore rispetto all'italiano di esprimersi; al contrario, in esso non vi è nulla di casuale, tutto ha una regola, una derivazione, un perché.
Il napoletano non è affatto, come si pensa, una derivazione dell’italiano, è una sua lingua sorella come del resto il francese e lo spagnolo poiché come loro deriva dal latino.
Qualche giorno fa parlavo con entusiasmo a un mio caro amico della bellezza, della logicità e della scientificità di questo dialetto e lui dopo avermi ascoltato concludeva “chi parla in dialetto o chi lo scrive sapendolo fare, non va censurato ma premiato!”
Eppure non c’è più quasi nessuno a saperlo fare.
Come più volte “denunciato” da Pasolini, dopo il ‘68 ed in concomitanza con le forti emigrazioni dal sud al nord ed all'estero, con la sostanziale scomparsa delle classi sociali tipiche confluite tutte nella nuova ed omologante classe sociale, IL CONSUMATORE, si è sentita l’esigenza di “italianizzare “ gli italiani affrancandoli dai loro dialetti e spingendoli a parlare tutti un altrettanto omologante italiano.
Ciò ha portato (soprattutto nelle regioni del sud Italia) questi nuovi consumatori omologati a detestare il loro dialetto, a non considerarlo più espressione di un modo di essere o un valore ed in qualche caso addirittura ad abiurarlo nonostante continuassero a parlarlo (Pasolini).
In quel contesto si inseriva nel 1970 il poeta siciliano Ignazio Buttitta che scriveva la poesia “ Lingua e Dialettu” nella quale avvertiva ed ammoniva che un popolo diventa servo e perde la libertà non quando perde il lavoro, il letto o il desco, “ma quando perde la lingua ereditata dai padri”, poiché con essa perde la sua identità, la sua specificità, la sua appartenenza, la sua cultura e i suoi valori.
Nonostante Pasolini e Buttitta, la delegittimazione del dialetto è proseguita, ma pure dell’italiano in quanto non era quello umanistico ad essere adottato dal consumatore e richiesto dal sistema, ma quello tecnico, aziendalistico, senza anima, senza storia, senza cultura , che ha continuato ad involversi fino ad arrivare ad un impoverimento lessicale impressionante.
Oggi poi la tecnologia lo sta sempre più sostituendo con sigle ed acronimi come si conviene in un mondo che ha sempre più fretta e fretta di fare soldi.
Ed il dialetto?
Che fine ha fatto?
Lo parlano ancora in molti, quasi tutti, senza conoscerlo.
Non lo conosce ormai quasi più nessuno, perché nessuno lo studia e quasi nessuno lo legge, per cui non lo si sa scrivere.
Quando lo si legge sui social, scritto così come si pronuncia, sembra un miscuglio tra slovacco, arabo e onomatopee.
Quello parlato, come in tutte le lingue, denota lo stesso impoverimento dell’italiano (non parliamo degli accenti volgari e bestiali anche nella stessa Napoli) a testimonianza dello scarso, scarsissimo livello culturale.
Terminerà questa epoca da basso impero.
Verrà un nuovo umanesimo.
Ci sarà un nuovo Rinascimento.
Almeno lo spero.

16 luglio 2018

La corsa


Cominciò un giorno d’autunno, la mia
con sol di fianco a me chi là già c’era;
ma freschi mattini di primavera,
mi spingevano fuori, nella via.
Era bianca, lunga, sempre in festa,
vi trovai l’amor e tant’ amicizia;
vigore, fervore, mai la pigrizia
Ci facevan correre a lancia in resta.
Correndo, mi girai e volsi ‘l mio sguardo
fin a veder chi di noi s’attardasse,
Ché già cominciate eran le salite.
Piansi su quelle corse ormai finite.
Or chied’al mio destin che sol mi desse,
Di non tagliar da solo il suo traguardo.