Quando da ragazzi ci si innamorava, si era così felici che si voleva
far partecipe tutto il mondo di quella felicità, la si voleva raccontare e
condividere con tutti.
Per me è stato sempre così anche da adulto... anche adesso...
Mi sono sempre innamorato di tutto.
Il mio ultimo amore è un... pardon... IL MASTER sulla Canzone
Napoletana che sto frequentando al Conservatorio di Salerno.
Me ne sono innamorato subito.
Merito dei docenti e precipuamente del coordinatore, maestro Pasquale
Scialò, dei compagni di viaggio, colti, intelligenti, sensibili e malati di
conoscenza, ma soprattutto dell’oggetto del Master:
LA CANZONE NAPOLETANA!
Non sembri riduttivo e banale, amici, non lo è per nulla, anzi.
La canzone napoletana, così semplice, scontata, anche abusata e da
molti ritenuta (anche a ragione) buona per passare una serata tra amici,
racchiude in se’ una musica di fattura sopraffina, una poesia di struggente
idillio, di reale disincanto o di dolore esistenziale poggiata su costruzioni
formali ed esattezze e finezze sintattiche e metriche tal da renderla un
autentico capolavoro.
IL TUTTO IN UNO SPLENDIDO DIALETTO NAPOLETANO!!!
Uno dei moduli del Master è proprio lo studio del dialetto napoletano o
lingua se si vuole, la fonetica, la grammatica, la sintassi.
Ho scoperto (già lo sospettavo) che il dialetto napoletano (patrimonio
UNESCO dal 2014) non è per nulla un modo grossolano o deteriore rispetto
all'italiano di esprimersi; al contrario, in esso non vi è nulla di casuale, tutto
ha una regola, una derivazione, un perché.
Il napoletano non è affatto, come si pensa, una derivazione
dell’italiano, è una sua lingua sorella come del resto il francese e lo
spagnolo poiché come loro deriva dal latino.
Qualche giorno fa parlavo con entusiasmo a un mio caro amico della
bellezza, della logicità e della scientificità di questo dialetto e lui dopo
avermi ascoltato concludeva “chi parla in dialetto o chi lo scrive sapendolo
fare, non va censurato ma premiato!”
Eppure non c’è più quasi nessuno a saperlo fare.
Come più volte “denunciato” da Pasolini, dopo il ‘68 ed in concomitanza
con le forti emigrazioni dal sud al nord ed all'estero, con la sostanziale
scomparsa delle classi sociali tipiche confluite tutte nella nuova ed
omologante classe sociale, IL CONSUMATORE, si è sentita l’esigenza di
“italianizzare “ gli italiani affrancandoli dai loro dialetti e spingendoli a
parlare tutti un altrettanto omologante italiano.
Ciò ha portato (soprattutto nelle regioni del sud Italia) questi nuovi
consumatori omologati a detestare il loro dialetto, a non considerarlo più
espressione di un modo di essere o un valore ed in qualche caso addirittura ad
abiurarlo nonostante continuassero a parlarlo (Pasolini).
In quel contesto si inseriva nel 1970 il poeta siciliano Ignazio
Buttitta che scriveva la poesia “ Lingua e Dialettu” nella quale avvertiva ed
ammoniva che un popolo diventa servo e perde la libertà non quando perde il
lavoro, il letto o il desco, “ma quando perde la lingua ereditata dai padri”,
poiché con essa perde la sua identità, la sua specificità, la sua appartenenza,
la sua cultura e i suoi valori.
Nonostante Pasolini e Buttitta, la delegittimazione del dialetto è
proseguita, ma pure dell’italiano in quanto non era quello umanistico ad essere
adottato dal consumatore e richiesto dal sistema, ma quello tecnico,
aziendalistico, senza anima, senza storia, senza cultura , che ha continuato ad
involversi fino ad arrivare ad un impoverimento lessicale impressionante.
Oggi poi la tecnologia lo sta sempre più sostituendo con sigle ed
acronimi come si conviene in un mondo che ha sempre più fretta e fretta di fare
soldi.
Ed il dialetto?
Che fine ha fatto?
Lo parlano ancora in molti, quasi tutti, senza conoscerlo.
Non lo conosce ormai quasi più nessuno, perché nessuno lo studia e
quasi nessuno lo legge, per cui non lo si sa scrivere.
Quando lo si legge sui social, scritto così come si pronuncia, sembra
un miscuglio tra slovacco, arabo e onomatopee.
Quello parlato, come in tutte le lingue, denota lo stesso impoverimento
dell’italiano (non parliamo degli accenti volgari e bestiali anche nella stessa
Napoli) a testimonianza dello scarso, scarsissimo livello culturale.
Terminerà questa epoca da basso impero.
Verrà un nuovo umanesimo.
Ci sarà un nuovo Rinascimento.
Almeno lo spero.