31 luglio 2017

La mia generazione ha perso

Lo diceva Gaber più di qualche anno fa, riferendosi alle scommesse ed alle lotte per la giustizia sociale o per la libertà di dire, di fare, di pensare di una generazione che voleva cambiare il mondo.
Non ci riuscì a cambiarlo, anzi in molti casi il mondo ha cambiato i ragazzi di quella generazione al punto da non raccontare neanche più ciò che volevano, ciò che cercavano, ciò per cui si erano battuti, rinnegandolo, in molti casi e barattandolo con l'agiato, indolente e inconsapevole benessere con cui hanno cresciuto i loro figli, tenendoli, così, lontani da ogni idealismo ed educandoli ad un utilitarismo che è divenuto l'approccio più normale per la propria vita.
Ecco perché quella generazione ha perso.
La mia generazione è arrivata subito dopo.
Aveva già meno voglia di lottare e voleva scordarsi degli anni di piombo, delle lotte di classe, dell'elogio dei vari pauperismi… ha cercato il benessere il godereccio, insomma, ha gettato le basi per la creazione dello sfacelo che viviamo oggi, senza valori, senza ideali, senza miti.
Ma la mia generazione non ha perso perché, in fondo, non ha combattuto.
Ma ha perso ugualmente. A volte ripenso alla mia adolescenza, al mondo semplice che c'era allora ed in cui ero perfettamente integrato, (almeno per un ragazzo di paese come ero io), al tempo scandito da eterni e splendidi rituali, alla vendemmia d'autunno con l'odore di mosto per ogni vicolo, alle aie piene di granturco messe lì ad essiccare che il più vecchio della famiglia accidiosamente muoveva con il rastrello, alle conserve di pomodoro che tutti preparavano prima di San Nicola e che terminavano sempre con peperoni e pannocchie arrostite, alle tombolate con i vicini, ogni sera d'inverno, sempre con le candele pronte nelle bugie perché al primo alito di vento andava via la luce, ai canti d'estate ed i racconti dopo la fatica nei campi che i miei nonni ed i loro vicini facevano fumando la pipa, seduti sul gradino fuori dell'uscio di casa. Ecco, la mia generazione ha perso tutto questo. Ha avuto in cambio una tecnologia che cominciava ad affacciarsi sul mondo e che ci ha trovati impreparati a servircene perché già grandi e cresciuti senza.
La mia generazione chiudeva un mondo che non ci sarebbe più stato e ne apriva un altro che non ci apparteneva.

11 luglio 2017

Il colore della vittoria

L'11 di luglio di trentacinque anni fa vincevamo Il campionato del mondo di calcio. Avevo diciassette anni.
Ricordo che ero in vacanza a San Marco di Castellabate ed avevo visto le partite con l'Argentina e il Brasile in un bar che aveva un televisore a colori.
Dopo la vittoria con il Brasile, increduli e felici eravamo tutti corsi in spiaggia a fare il bagno vestiti, per la gioia. Il mondo intero parlava della nostra piccola
Italia e noi ci sentivamo orgogliosi come non mai di essere italiani.
Vivemmo l'attesa fino alla finale con la Germania in un una specie di trance, tanto era inaspettata ed imprevista.
Giunsero le fatidiche 20 e 30 dell’11 luglio 82, io ero a vedere la partita, seduto su una sedia, in strada, col televisore appoggiato sul davanzale della finestra. Eravamo certi di vincere anche quando Cabrini sbagliò il rigore.
Vincemmo e quella notte diventò una notte magica... eravamo campioni del Mondo! Era la prima volta che vincevamo qualcosa.
Uscivamo da un decennio tragico, drammatico, di destabilizzazione sociale e politica, gli anni di piombo, la nostra economia in fortissimo affanno, la nostra moneta con un potere d'acquisto così debole da rendere proibitivo qualunque spostamento o soggiorno all'estero e noi italiani visti sempre come una specie di Calimero, personaggio di Carosello, che per chi non lo sapesse o non lo ricordasse era un pulcino "piccolo e nero" con dei fratelli tutti bianchi.
Noi irpini, poi portavamo nel cuore e nella mente la tragedia del 23 novembre dell'80. Quello fu in nostro riscatto. Il riscatto di un popolo che tornava fiero di essere italiano e poco importava se lo era per una partita contro l'odiata Germania e non per la qualità della vita, per l'arte o per il Pil.
Eravamo italiani, quelli che per una volta avevano vinto, che potevano guardare tutti dall'alto in basso e dire come faceva il ritornello di una vecchia canzone:
"Beh, cosa guardi, cosa c'è di strano? Ma non lo vedi che son italiano!"
Avevamo scoperto, come fece Calimero che non eravamo neri, ma solo sporchi e che una volta lavati eravamo diventati bianchi pure noi!
Quella vittoria sembrava portare con se' quel decennio bello e difficile, di lotte e di sconfitte, gli anni 70 che nell'82 non era ancora finito, ma che sembrò finire proprio quando l'arbitro del Bernabeu prese in mano il pallone e fischiò la fine della partita mentre Nando Martellini ripeteva:
 "Campioni del mondo!"
Il giorno dopo eravamo nel nuovo decennio, spariva definitamente il bianco e nero ed entravamo in un mondo a colori.
Ci saremmo riappropriati di quel benessere, di quella sorta di spensieratezza che avevamo perso alla fine degli anni 60 con la prima congiuntura economica post-boom ed avremmo guardato con ottimismo al nostro futuro.
Avevo 17 anni andavo incontro alla vita.
Una vita che vedevo tinta di azzurro.

2 luglio 2017

Matrimoni e dintorni

Sono tornato prima del previsto da una vacanza per essere presente al matrimonio di un mio caro cugino che sposa oggi: Armando.
Sono tornato perché avevo piacere di esserci e perché avevo colto in Armando un sincero dispiacere quando gli avevo detto di non poter essere presente.
Non me ne sono pentito.
Ad accogliermi (senza sassi) una allegra e festosa atmosfera, leggera e scanzonata... i volti noti della mia vita di fianco a me.
Ci salutiamo felici di essere lì insieme a condividere un po' del nostro tempo, a trascorrere una giornata insieme ed a fare le stesse cose, come se il tempo non fosse passato, come quando,da ragazzi, i nostri genitori ci portavano al mare o al Terminio.
Ci sediamo fuori per l'antipasto, un tavolo fatto tutto da cugini della stessa generazione (più o meno) e cominciamo a ridere ed a divertirci come degli adolescenti.
Entriamo in sala ed il tavolo è lo stesso, il cazzeggio pure. Rido, ridiamo come non ci capitava da tempo.
L'atmosfera è così bella e distesa che li sento organizzare un'altra cena di cugini.
Mi astraggo e non partecipo alla discussione...li guardo, sembrano un'istantanea in bianco e nero ...sono le figure più antiche che ricordi, quelli con cui sono stato a contatto, perché i nostri genitori si riunivano spesso... mi sembrano tutti come allora.... adesso che siamo a tavola, allegri e felici, spogli del nostro vissuto.... disinteressati e dimentichi di ciò che siamo diventati ...li guardo ancora e riconosco e vedo in loro un po' di me.
Sento montare un affetto straripante e la solita malinconia al pensiero del tempo andato e perduto.
Decido di non pensarci e di godere di questi momenti, di questa giornata che ci ha visto ancora insieme, bambini cresciuti che nascondono dietro le rughe, i capelli bianchi o gli affanni del cuore, il perpetuo retaggio di un piccolo mondo, di un eterno moto di affetto da cui nessuno può prescindere.
E che bello rendersi conto che è così!