La solitudine del numero uno |
Sto seduto al centro della piazza. Della mia piazza.
Al centro per godere dell'ombra secolare del mio tiglio.
A due metri da me un tavolino che ospita i soliti giocatori di tressette
circondati dai soliti sfaccendati che preferiscono osservare e criticare
piuttosto che giocare ed essere criticati.
Li guardo e sono gli stessi di trent'anni fa, solo un po’ più invecchiati e
brontoloni... dall'altoparlante del bar viene fuori la voce di Battisti che
canta "i giardini di marzo"
Sembra di essere ripiombati negli anni '70.
Del resto questo posto, questa piazza con il sagrato e la chiesa attaccati non
è poi cambiato di molto, nella sostanza, dagli anni '70 , da quando cominciavo
a frequentarla, da quando ci giocavo a pallone, alla "cancella" o ad
un altro strano gioco chiamato "campo" che non ho più visto fare a
nessuno dopo di noi.
C’è stessa gente di allora... che parla delle stesse cose di allora senza mai
trovare un accordo...cose semplici, ovvie, su cui ognuno ha un' idea o una
soluzione...
Questo posto non è cambiato nella sostanza perché resta il luogo più normale
per darsi un appuntamento o semplicemente dove dirigersi appena usciti di casa,
certi di incontrarvi qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere ...
È' il più antico e naturale presidio sociale che ci sia e che sta ormai
scomparendo un po' dappertutto....
Qui resiste e ne sono felice....
Non ho mai parlato dei massimi sistemi nella mia piazza e non è' qui che ho
costruito il mio sapere, ma è' qui che vengo quando, a volte, la grevità delle
mie cose o dei miei pensieri sembra sopraffarmi...
Sono qui, seduto al centro della mia piazza, guardo di fronte le stesse
botteghe di allora che hanno per bottegai i figli di quelli di allora...
Sorrido tra me e me, sereno...
Non potrei far a meno di tutto ciò...
Santo in lontananza mentre scrivo, gli stessi litigi sul calciomercato...
Non ne frega niente ma mi piace lo stesso.
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella
terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti"
Cesare Pavese
Giovanni Torello
RispondiEliminaPienamente d'accordo con te e con Pavese. La lontananza acuisce questi sentimenti e dilata la nostalgia. Nello specifico la lontananza da quell'età e da quello che significava la piazza ed il paese in quel determinato momento, con gli amici di sempre e da sempre, con quelle certezze e con quelle incertezze ma con la consapevolezza di essere a casa
Mariana Fasulo
RispondiEliminaCome sempre molto introspettivo...
Antonietta Montone
RispondiEliminaDi quasi tutte le cose non rimane nulla tra le mani scivolano via come sabbia tra le dita solo l amore né lascia sempre qualche granello appiccicato li chiamano ricordi o nostalgia o rimpianto la nostra piazza è piena di granelli
Pierpaolo Montuori
RispondiEliminaIo sono orgoglioso di essere un ragazzo di paese proprio per tutte le cose che hai appena descritto!!!
Anche se può sembrare poco ambizioso ma io mi immagino tra 30 anni, al posto delle persone di cui parli e penso che se così sarà potrò ritenermi una persona fortunata!!!!
Giuseppe Torello
RispondiEliminaRicordi .......che il tempo e la distanza non sbiadiscono
È bello avere una piazza che ti aspetta.
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?t=34&v=D40FnLs1g-k